ROLANDO TEOFOLI

CULTURA E IDENTITÀ

Ai giorni nostri, il nome di Rolando Teofoli lo si accosta ad una scuola primaria. Molti lo ricordano come Direttore didattico e Ispettore scolastico in varie zone dell’Umbria.
Eppure, Teofoli è stato nel secondo dopoguerra una figura di spicco nel panorama culturale dell’epoca. Un intellettuale che conosceva il valore della cultura nella difficile opera di ricostruzione, anche morale, nella Terni disastrata dalla guerra.

Nel 1950, nasce il Circolo di Cultura, voluto da Dante Sotgiu e dallo stesso Teofoli, che diventerà per molti anni una fucina di idee e progettualità in vari campi. Le migliori menti dell’epoca sono passate da questo Circolo, hanno contribuito a fissare alcune direttive che diventeranno i caposaldi della ripartenza. Scuola e formazione ma anche memoria storica, comprese le radici popolari e vernacolari, sono i sentieri da battere. Frutto rilevante di questi incontri è la nascita di una Casa Editrice locale, dal nome inequivocabilmente ternano, la Thirus, nel 1956.

“Ci riunimmo in tre amici, direi un po’ matti, (io, il professor Sotgiu, il Direttore didattico Benigni) e decidemmo di fondare questa Casa Editrice. Però non avevamo soldi e ci rivolgemmo all’Ing. Mondini, direttore del Poligrafico Alterocca, affinché ci desse una mano”. I tre uomini di scuola si autotassarono (5000 lire ciascuno al mese) e così cominciò l’avventura editoriale. Molto interessante leggere i titoli dei primi libri stampati. La “Historia di Terni” dell’Angeloni, le “Riformanze” del Silvestri, i libri di Raimondo Mannelli sulla identità ternana (Il Cantamaggio, i poeti dialettali, il movimento operario a Terni). E poi molti altri di didattica pratica.

Venne tracciata una idea di città da rifondare; bisognava conoscere il nostro passato per poterci reinventare il futuro. Non tutto è andato in questa direzione, anzi.

Ho conosciuto Rolando Teofoli alla fine degli anni Ottanta, a casa di Marcello Ghione, la cui abitazione era anche la sede de “Lu Campanone”, associazione che aveva il compito di tutelare le tradizioni e il dialetto ternano. Teofoli era curioso di sapere chi eravamo, cosa
facevamo e se, tra di noi, vi fossero inguaribili passatisti. Resosi conto che non era la nostalgia a muoverci, ci invitò a passare un pomeriggio nella sua casa di Toano. Qui nella dolcezza dei nostri colli, tra gli alberi da frutta del suo terreno, ebbi la strana percezione di un contatto atavico con quest’uomo. Mi condusse di fronte ad una melangolo (o merangolo) e mi descrisse con calore l’uso antico di questo agrume delle nostre campagne umbre.

“Tuttu se facea co’ stu fruttu prelibatu,
li facioli giù la mola,
lu cuscittu piluttato,
le costarelle de majale,
le braciole de castratu;
co lu sugu de merangola
è magnà da gran prelatu” (R. Teofoli)

Lo aveva piantato anche lui “alla sperella” nel suo giardino, per ritrovare il profumo e sapore della sua infanzia.

Tra le sue numerose pubblicazioni, due soprattutto, hanno catturato la mia attenzione. “Storie brevi… ma vere” e il “Romanzo della mia gente”.

Il primo ebbe due edizioni, la prima con la Thirus e la seconda con la Gastaldi Editore di Milano che volle segnalare l’opera al Concorso Nazionale Gastaldi nel 1957. Il secondo ebbe una lunga gestazione e composizione. Tra i due comunque, vi è un nesso strettissimo, alcune parti sono addirittura comuni in entrambe le opere. Vi si nota l’anima dello studioso, del ricercatore, dell’attento osservatore della natura e degli uomini del nostro territorio ternano. Viene analizzata la trasformazione sociale, a volte antropologica, della nostra gente, dopo la grande industria.

Teofoli era nato nel 1901, una vita tutta dentro il Novecento ma conosceva benissimo la storia dell’Ottocento ternano, attraverso i racconti dei suoi nonni, contadini con il valore del lavoro e dell’onestà. La sua infanzia era trascorsa tra “Lu palazzone”, mitico palazzo operaio ternano, dove la famiglia aveva due stanze e il casello ferroviario che si trovava tra Piedimonte e Toano, nel punto in cui oggi vi è il cavalcavia. Ricorda con affetto lo spirito di comunità che si viveva al palazzone “polmone aperto che respirava con noi”. Gioie e dolori erano condivisi da tutti. Quante cose aveva imparato da quel posto!

Anche il casello era un “centro di vita” per l’ospitalità del padre Santino, guardiano delle ferrovie, rispettato da tutti, colti e meno colti. Ricorda le merci che vi transitavano, le scorie di ferro provenienti dalla fabbrica, oggetto di ricerca affannosa di povera gente che sperava di trovare qualcosa di interessante. Anche l’arrivo della barbabietola proveniente dalla pianura ternana era un motivo di gioia e confusione perché andava sistemata su altri vagoni che la portavano a Rieti, dove era l’unico zuccherificio della zona.

Teofoli tratteggia alcune figure di uomini e di donne, con dovizia di particolari, tali da renderli vive ancora oggi. Tra tutte mi piace sottolineare la zia Luciola, figura di donna popolana intelligente e operosa, che sapeva guardare al futuro con spirito propositivo e intraprendente.

Anna Maria Bartolucci

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