Il napoletano che terrorizzò gli afgani

la storia di Paolo Avitabile, detto Abu Tàbela

Paolo Avitabile, nato ad Agerola nel 1791, è stato uno dei personaggi più controversi della storia italiana. Ex ufficiale napoleonico, divenne celebre – e temuto – come Abu Tàbela, il “tagliatore di teste” che impose l’ordine a Kabul con metodi brutali. Ancora oggi, il suo nome viene usato per spaventare i bambini afgani. La sua storia, raccontata da Stefano Malatesta nel libro Il napoletano che domò gli afghani (Neri Pozza, 2002), è tanto affascinante quanto inquietante.

Dall’Europa all’Oriente: chi era Paolo Avitabile

Dopo aver combattuto a Waterloo, Avitabile tornò a Napoli in cerca di impiego. Seppe che molti ex ufficiali napoleonici avevano trovato fortuna in Asia, arruolati dall’Impero Sikh guidato da Ranjit Singh. Portarono con sé moderne tecniche militari, come la fanteria, allora sconosciuta nel subcontinente indiano.

La fama di Abu Tàbela e il terrore a Kabul

Prima di giungere a Lahore, Avitabile lavorò come mercenario in Persia e Samarcanda, dove si fece notare per la sua crudeltà. La sua reputazione giunse fino all’imperatore Singh, che lo nominò governatore di Peshawar e Kabul, territori infestati da predoni.

Per imporre l’ordine, Avitabile fece erigere pali appuntiti attorno alla città, sui quali impalava i malviventi. Una punizione lenta e terrificante, eseguita in modo da evitare gli organi vitali e prolungare l’agonia. Kabul si trasformò in un teatro del terrore, e il nome di Avitabile si trasformò nella leggenda di Abu Tàbela.

L’alleanza inquietante con Ranjit Singh

Avitabile e Ranjit Singh avevano in comune strane ossessioni e una vena sadica. Mentre Avitabile si dilettava nel torturare prigionieri, il sultano si divertiva ad orinare sul popolo durante le processioni. Entrambi condividevano un gusto macabro per lo spettacolo del dolore.

Il ritorno in Italia: ricchezza, tirchieria e mistero

Con un bottino di sete, diamanti e ricchezze, Paolo Avitabile tornò in Italia e si stabilì a Castellammare. Fece costruire una villa e prese come concubina una giovane cugina. Malgrado la ricchezza, si rivelò avaro e distaccato dalla famiglia.

Morì improvvisamente una sera d’estate, tra atroci dolori, dopo aver mangiato un cosciotto d’agnello. Gridò: “Mi hanno avvelenato!”, ma il medico arrivò tre giorni dopo. Nessuna autopsia fu possibile: i familiari avevano iniettato arsenico nel corpo, ufficialmente per “conservarlo”. Nel frattempo, il servo era sparito con l’argenteria.

Conclusione: il carnefice vittima dei suoi cari

Paolo Avitabile aveva sconfitto i predoni delle montagne afgane, ma fu infine sopraffatto da un nemico più temibile: i suoi stessi parenti. La sua storia resta un esempio emblematico di come potere, crudeltà e solitudine possano intrecciarsi in un’unica, tragica figura.

Francesco Patrizi