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QUESTO IL TEMPO PER COSTRUIRE IL FUTURO

Nel marzo scorso era uscito il rapporto dell’Onu sul cambiamento climatico in atto nel mondo. Ne veniva fuori la difficoltà a  contenere l’aumento della temperatura del pianeta entro 1,5 gradi, come previsto dagli accordi di Parigi e l’accelerazione del cambiamento, rispetto alle stesse previsioni della scienza. Con le attuali misure di mitigazione si rischia di arrivare ad un aumento di 3 gradi, rispetto al periodo preindustriale, con conseguenze devastanti. Ora, in Aprile, è stato pubblicato il rapporto del “Servizio europeo di controllo del clima” sulla situazione del vecchio continente. Ne emerge un dato drammatico: mentre l’aumento medio attuale della temperatura del pianeta è di 1,1 gradi, quello registrato per l’Europa è il doppio, 2,2 gradi. Ciò vuol dire che il nostro, dopo l’Artico, è il continente che si riscalda più velocemente al mondo, con gli eventi estremi ed i fenomeni che sappiamo: non solo 49 gradi a Siracusa e 40 gradi a Londra, nel 2022, ma, scioglimento irreversibile dei ghiacci alpini, perdite del 60% delle neve, inondazioni e siccità mai vista per il 63% dei fiumi; inoltre, incendi devastanti e diffusi, perdita di biodiversità e di fertilità dei suoli agricoli, nuovi rischi per la salute, per bombe di calore e nuovi agenti patogeni, confermati da 20.000 morti dovuti al mutamento climatico. l’Europa, e in particolare l’Europa meridionale, dunque, è una vittima designata del riscaldamento globale. Ma la risposta  a questa crisi non è stata, sino ad ora, una priorità politica, sia per ridurre le cause del cambiamento, cioè le emissioni climalteranti, sia per accrescere la capacità di adattamento a quella parte del cambiamento che non siamo più in grado di evitare. Tuttavia, in questi ultimi giorni, qualcosa di positivo ed importante è accaduto; l’Europarlamento ha approvato alcuni provvedimenti chiave per il clima. Dalla riforma del mercato delle emissioni alla tassa europea sul carbonio alla frontiera (Cbam), sui beni importati, passando per i prodotti a deforestazione zero: una svolta “green” verso la sostenibilità dello sviluppo  è possibile e l’UE prova concretamente a dimostrarlo. La decisione è rilevante, non solo, perché orienta le scelte degli Stati dell’Unione, ma, anche, per la capacità di porsi, sull’emergenza climatica, come guida politica e normativa a livello globale. Con la tassa europea, l’Unione prova, inoltre, ad affermare una sovranità fiscale sovranazionale e a darsi uno strumento proprio per il finanziamento, non a debito, delle sua attività a sostegno del “green new Deal” comunitario. Nello stesso pacchetto sono contenute nuove regole contro la deforestazione, per mezzo del divieto di circolazione nell’area U.E., di prodotti derivanti dalla deforestazione: come legname pregiato, olio di palma , soia, caffè, cacao, capi di bestiame,  gomma, carta. Tutti  prodotti che non saranno più importabili e vendibili nell’Unione europea. Lo scossone sui mercati mondiali e sulle forme di concorrenza che danneggiano l’ambiente ed il clima sarà davvero assai grande e positivo per la transizione ecologica. Inoltre, un’altra misura approvata riguarda la riforma  del mercato delle emissioni (Emission trading system, o “Ets”); finora, veniva distribuito al comparto industriale e alle società energetiche un certo numero di certificati di emissioni, cioè di Carbon tax, gratuiti; con la riforma, la quota si ridurrà di anno in anno, fino alla loro totale cancellazione. Significa che chi inquina dovrà pagarlo caro. Anche AST, con la nostra acciaieria, sarà investita pesantemente da tale riforma e dovrà ridurre le sue emissioni, non solo, per fare la sua parte contro il cambiamento climatico, ma, anche, per non pagare ingenti tasse, come i nuovi ETS totalmente onerosi. Con questo pacchetto di misure il Parlamento Europeo introduce strumenti normativi e finanziari concreti per ridurre le emissioni climalteranti di almeno il 55%, entro il 2030. Occorrerà, certamente, avere attenzione al diverso impatto sociale che tali misure potranno avere; non a caso è stata prevista la creazione di un “ fondo sociale per il clima” , proprio per fare in modo che alla sostenibilità ambientale si accompagni quella sociale. Gli studi dell’ONU evidenziano che sono i 100 maggiori gruppi industriali e le 100 più grandi metropoli del mondo a provocare il 70% delle emissioni globali. Le misure fiscali e normative, ambientali e sociali, per essere selettive, dovrebbero tener conto sempre di più di questa realtà. Ci aspettano anni di inedito impegno per ridurre le cause del cambiamento climatico e per adattarci a quello oramai non reversibile, da qui alla fine del secolo. Le misure di riduzione delle emissioni non potranno che essere globali, pur dovendo applicarsi con  diversa intensità fra i paesi più ricchi ed industriliazzati che causano la crisi epocale del clima e quelli piú poveri ed arretrati che, maggiormente, la subiscono. Ciò che è chiaro è che, invece, le misure di adattamento ai cambiamenti sono di natura nazionale e locale. Il piano nazionale di adattamento è stato per troppi anni nei cassetti ministeriali, non aiutando Regioni e città ad avere un quadro di riferimento e strumenti per elaborare piani locali di adattamento. Questa, oggi, dopo l’allarme europeo, si pone come priorità per l’Italia e le sue realtà regionali e locali. È il tempo dell’azione. Non per noi, ma, per il pianeta ed il futuro dei posteri.

Giacomo Porrazzini

-Redazione-:
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