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I TELEFONI DI UNA VOLTA

Dopo gli esperimenti dell’italiano Meucci e l’assegnazione del brevetto allo scozzese Bell iniziò l’era della telefonia. Il 28 febbraio 1878 si tenne la presentazione ufficiale del telefono alla presenza della famiglia reale: il collegamento era stato attivato fra il Palazzo del Quirinale e l’ufficio del telegrafo di Tivoli, utilizzando la linea telegrafica.

Nel 1913 fu inaugurata la prima centralina automatica italiana, al quartiere Prati di Roma, seguita dieci anni dopo dalla prima centralina automatica di Milano, per la zona di Porta
Romana. L’automazione cambiò radicalmente l’utilizzo del telefono: anziché chiedere alla centralinista di essere collegati con il numero desiderato, si doveva comporre direttamente il numero telefonico e perciò fu introdotto il disco combinatore e conseguentemente gli utenti impararono a riconoscere i segnali di “libero” e di “occupato”.

Negli anni successivi, le centraline automatiche si diffusero nelle reti urbane, mentre per le chiamate extraurbane rimase normale l’opera della centralinista.

Nel 1952 fu impiantata la prima cabina telefonica pubblica d’Italia in piazza San Babila a Milano. Nel 1959 nacquero i gettoni usati fino al 31 dicembre 2001, quando potevano ancora essere cambiati nei negozi 187 al valore di 9 gettoni = 1 scheda telefonica, anche
se non venivano più coniati già dal 1980. Il valore del gettone nel 1959 era di 30 lire, nel 1964 di 45 lire, corrispondenti allora all’importo di tre scatti telefonici, poi dal 1972 di 50 lire, dal 1980 di 100 lire e dal 1984 di 200 lire, venendo adeguato alla variazione del costo e della durata dello scatto telefonico. Il gettone, inoltre, era sovente utilizzato come moneta, pur non avendo alcun corso legale.

Qualcuno avanti con gli anni ricorderà che nel decennio 1950-1960 in molti paesi dell’Umbria c’era ancora un unico telefono pubblico, in genere presso il bar nella piazza principale del paese. I pochi che avevano istallato il nuovo marchingegno in casa, se volevano parlare con un amico o parente che ne era sprovvisto, non facevano altro che chiamare il centralino del paese, che andava ad avvisarli.

Alla diffusione del telefono in tutte le case contribuì anche l’imponente migrazione interna dal Mezzogiorno al Triangolo industriale, che fece aumentare significativamente il flusso delle chiamate interurbane.
Anche in conseguenza di questa esigenza, nel 1970 fu concluso il passaggio alla teleselezione anche per i collegamenti interurbani.

Negli anni fra il 1963 e il 1970 un gruppo di studenti universitari ternani risiedevano alla Casa dello Studente in via De Lellis a Roma e organizzavano memorabili partite a quadrigliati (in dialetto a quadrigliato) durante l’inverno. A seguire queste partite c’erano sempre alcuni spettatori che aspettavano il loro turno per giocare una mano. I giocatori più incalliti erano più che altro gli studenti della facoltà di Legge, mentre quelli delle facoltà scientifiche erano oberati dalle frequenze nei laboratori e disponevano di minor tempo libero.

Si racconta che una sera, durante una sosta dopo un’avvincente gara, uno dei vincitori si rivolse a tutti indicando un collega spettatore: “Non ve pare? Ma a me me sa che Gigettu è frocio”. E giù tutti a ridere e a dare pacche sulle spalle al preso di mira di turno. In quei tempi la parola gay non era di gran moda, specie tra gli universitari. Il Luigino in questione rispose piccato: “Chi, io? Mo ve facce vedé se so frocio”. E così dicendo infilò la mano destra nella tasca dei pantaloni e con la sinistra abbrancò le parti intime.
Tutti incuriositi a guardare cosa avrebbe tirato fuori il ragazzo, magari dalla tasca bucata. E invece tirò fuori solo una grossa manciata di gettoni telefonici. Tutti scoppiarono a ridere e a sghignazzare, chiedendo cosa ci entrassero i gettoni con la dimostrazione di eterosessualità. E il Gigettu, da buon studente di legge e futuro avvocato, dichiarò che erano tutti gettoni per contattare rappresentanti del gentil sesso e in particolare la sua ragazza che faceva il liceo a Terni.

Vittorio Grechi

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