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Arrivano i bambini afgani!

Bimbi e bambini: quale sfumatura c’è tra i due termini?

La questione dell’accoglienza dei rifugiati afgani ha costretto alcuni politici nostrani a riformulare il proprio vocabolario. Chi gridava fino a ieri “aiutiamoli a casa loro”, dovendosi adattare all’onda emotiva suscitata dalle scene viste a Kabul, ha cominciato a dire: abbiamo il dovere morale di accogliere bimbi e mamme in fuga dai talebani. Qualcuno si chiederà: perché i bambini africani che sbarcano a Lampedusa sono minori, mentre quelli afgani sono bimbi?

Minore è un termine burocratico, crea un distacco; se su un barcone di migranti arriva un minore, l’elettore di un certo schieramento non pensa subito ad un bambino, ma focalizza l’attenzione sul fenomeno migratorio, sul dato statistico, sulla notizia e quindi chiede che il minore venga respinto; se invece il minore viene chiamato bambino, la disumanizzazione burocratica si attenua e l’elettore accetta l’idea che il piccolo possa entrare in un centro d’accoglienza; ma non sempre è così, non basta dire che sono sbarcati “donne e bambini” per ammansire un certo elettorato, perché “donne e bambini” sono pur sempre delle categorie, non si pensa subito ad un nucleo familiare, anche le istruzioni sulle vie di fuga indicano “prima le donne e i bambini” senza specificare i nessi parentali.

Questa volta, per ammansire chi è insensibile persino alla parola bambino, il politico ha dovuto trovare un termine che addolcisse la pillola, che facesse leva sull’emotività: è la parola bimbo, usata in modo improprio.

Bimbo si usa prima dello svezzamento e bambino dopo, ma proprio l’altro giorno Il Tempo titolava: Riccione: somalo accoltella un bimbo di otto anni. La sostituzione di bambino con bimbo non è dunque una svista anagrafica, ma una scelta prettamente strumentale.

Quale sfumatura c’è tra i due termini?

Il bimbo è innocente, fa le smorfie, gattona per casa; il bambino, come insegnano i romanzi di Dickens, può anche non essere innocente, non avere famiglia, può anche rubare e chiedere l’elemosina in strada. Il bimbo è paffuto, ha gli occhi grandi e profuma di borotalco; il bambino può anche essere sporco, portare le malattie e puzzare. Dettaglio ancor più commovente, questi bimbi scappati dai talebani sono arrivati con “le mamme”, non con “le donne” come gli africani.

Il dovere morale di accogliere “bimbi e mamme” (in questo ordine) è dunque un appello al senso paterno dell’elettore maschio e maschilista.

Qualcuno avrà notato che in questo ritratto di famigliola profuga non viene nominato il padre; basterebbe aggiungere la parola papà, ma la narrazione accuratamente studiata dal politico deve essere in linea con certi pregiudizi, deve pur restare l’idea che “quella gente là” è come le bestie, maltratta le donne, sfrutta i bambini, che quelli non sono mica papà come noi.

Per far accettare l’accoglienza di “bimbi e mamme” bisogna immaginare che fuggano da uomini corrotti e incivili e che abbiano trovato rifugio presso uomini civili e caritatevoli, che abbiano trovato, qui in Italia, gente che sa fare il mestiere di padre, cioè dare protezione e trasmettere valori.

Così il corridoio linguistico ha preceduto quello umanitario e nel cuore nero dell’elettorato si è aperto un varco (momentaneo, perché presto si accorgeranno che accogliamo anche i papà afgani!).

Francesco Patrizi

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