TERNI LIBERA E ITALIANA: 18–21 settembre 1860

La campagna del 1860 tra diplomazia e azione militare

Nella tarda estate del 1860, mentre i volontari guidati da Garibaldi si accingevano a liberare Napoli, il governo del Regno di Sardegna, presieduto da Camillo Benso di Cavour, decise di intervenire militarmente nelle regioni di Umbria e Marche, ancora sottoposte al dominio pontificio, al fine di unificare le province settentrionali sabaude a quelle meridionali di recente affrancamento dal giogo borbonico, nonché di fermare la spedizione originariamente dei Mille prima che raggiungesse Roma e scatenasse la temuta reazione di Napoleone III, Imperatore di Francia e protettore politico del Papa.

Nelle intenzioni dello statista piemontese, all’azione dell’esercito regolare doveva affiancarsi quella di gruppi armati dell’Italia centrale, ciò non solo per ragioni tattiche, bensì soprattutto per conferire il sigillo della legittimità alla campagna bellica: in Umbria tale ruolo fu svolto dal corpo dei “Cacciatori del Tevere”, posto sotto il comando del Colonnello Luigi Masi, forte dapprincipio di ottocento uomini.


I primi scontri e l’arrivo dei volontari ternani

Tale colonna, dopo l’ingresso in Città della Pieve il 9 settembre 1860, nella notte del 10 tentò la presa d’assalto di Orvieto, venendo tuttavia respinta dalla guarnigione papalina di mercenari stranieri ivi presente; essendo tuttavia evidente la superiorità di soldati e mezzi degli Italiani, su pressione degli stessi orvietani, il giorno successivo la truppa pontificia trattò la resa e abbandonò la città, che fu occupata dai militi del Masi, cui si aggiunsero due compagnie di volontari ternani, arronesi e sangeminesi, dette “del Nera”, guidate dai capitani Lorenzo Caraciotti e Alceo Massarucci, capo del comitato segreto dei patrioti di Terni e futuro Senatore e Sindaco, e, in seconda, dai tenenti Alessandro Magalotti e Augusto Fratini.

Pochi giorni dopo, le truppe sabaude sconfissero i presidi pontifici di Perugia e Spoleto, liberando le due città rispettivamente il 14 ed il 17 settembre.


La liberazione di Terni

Contestualmente, all’indomani della vittoria italiana di Castelfidardo del 18 settembre, una divisione dell’esercito piemontese, sotto il comando del gen. Brignone, fu indirizzata verso il ternano, giungendo a Spoleto nella tarda sera del 19. Sino a quel momento, a Terni, il governatore pontificio Avv. Giacomo Pierfelici aveva mantenuto saldo il controllo della città, forte dei 65 uomini della propria gendarmeria e dell’impossibilità all’azione dei pochi liberali rimasti in loco, tali per i numerosi esili ed imprigionamenti subiti, nonché per l’impegno di tanti nei Cacciatori del Tevere.

Il 18 settembre, tuttavia, in seguito alla rimozione dello stemma pontificio dal palazzo apostolico operata dai patrioti la notte prima, nonché in ragione della fuga della gendarmeria, il governatore si dimise insieme all’intera magistratura municipale.


Una nuova amministrazione cittadina

Fu allora costituita una provvisoria guardia civica filo-italiana e, per ordinanza del commissario regio della provincia di Spoleto, Pompeo di Campello, fu insediata una nuova amministrazione pro tempore, costituita da insigni notabili: il Presidente Giuseppe Massarucci, padre di Alceo e già Gonfaloniere, Giuseppe Nicoletti, Domenico Giannelli e Bernardino Faustini.


21 settembre: Terni accoglie l’Italia

Pertanto, quando le truppe regie giunsero finalmente a Terni il 21 settembre, precedute il 20 dai volontari del Ten. Col. Pasi, esse trovarono una città già libera che le accolse in trionfo, evento ricordato da un’epigrafe collocata su una parete laterale dell’ex-palazzo comunale (oggi sede della BCT) nel suo cinquantesimo anniversario.

Come testimoniato da Augusto Mezzetti nelle proprie memorie, quel giorno ovunque in città sventolavano le bandiere nazionali e in moltissimi indossavano accessori tricolori; quattro file di ternani accolsero gli uomini del Brignone a San Carlo – tra di loro le entusiaste operaie dello stabilimento di tessitura Fonzoli – e li accompagnarono al centro della città: i festeggiamenti durarono fino alla notte, quando, alla luce delle torce, ternani e piemontesi, ovvero Italiani, condivisero il desco in molte delle case cittadine e cantarono per ore, percorrendo il Corso e Piazza Maggiore, ovvero gli attuali Corso Vecchio e Piazza della Repubblica.

Francesco Neri