
Una figura entrata nell’immaginario collettivo ternano
Il 26 dicembre del 1984 Paolo Cabiati decideva di porre fine alla sua esistenza, a soli 29 anni. Venne trovato penzoloni da una trave di un piccolo magazzino, di fronte alla sua abitazione, da Stefania Parisi alle ore 9,30 del giorno di Santo Stefano.
Mi sono decisa a ricordare Paolo quando ho letto e sentito persone che lo accomunavano a gente del popolo che tutti conoscevano a Terni per le loro peculiarità. Ausilia e il suo sguardo birichino nel chiedere qualche spicciolo, Maurizietto e la sua bonaria partecipazione alle varie attività ricreative e culturali ternane. E altri ancora. Paolo era entrato nell’immaginario collettivo ternano come una figura singolare, con quel cappello alto, quasi una tuba ottocentesca. Aveva un soprannome “Hashish”, che immediatamente lo identificava come un giovane dedito alla droga. Ma Paolo Cabiati era anche qualcos’altro, era un artista, maledetto ma soprattutto artista.
Gli anni ’70 a Terni e l’arrivo della piaga della droga
Siamo negli anni ’70 e Terni conosceva per la prima volta la piaga della droga. Molti giovani, anche di buona famiglia, hanno cominciato a farne uso. Un dramma sociale e familiare enorme e Paolo sicuramente in quegli anni aveva cominciato a convivere con il “Fiore del Male” per dirla alla Baudelaire.
Originaria di Narni, la famiglia si trasferisce presto a Terni, per ragioni di lavoro, in una di quelle case del Villaggio Matteotti, con annesso garage e orto-giardino. La sua era una famiglia allargata con due fratellastri di cui era estremamente geloso. Non riusciva a capire la gentilezza, l’affetto che la mamma manifestava per questi ragazzi più grandi di lui. Non era lui il suo solo figlio? E il padre, poi era solo giudicante con lui, Paolo. Lo rimproverava sempre mentre stravedeva per gli altri due.
Ribellione, sensibilità e una vita trasformata in arte
Il conflitto con la famiglia nasce su questo binario, apparentemente banale ma, pian piano, si acuisce sempre di più. Sensibilissimo, diventa ribelle, assorbe quel clima di contestazione alla scuola, alla famiglia, alla società. Trova sollievo nella pittura, riesce a fare di sé la sua prima opera d’arte.
Chioma lunga e spettinata, cappello alto sul capo, maglioni multicolori, sigarette sulle labbra. Un James Dean rivisitato. Una voglia di libertà difficile da spiegare a parole. Amava stupire e il primo ad esserne stupito dell’interesse che suscitava, era lui stesso. Comincia così la sua alterità, il suo sentirsi diverso dagli altri. Vi era il lui un certo compiacimento se non fosse accompagnato da un profondo malessere, da un bisogno irrefrenabile di affetto. Lo chiedeva a tutti, a modo suo, ma senza pudore.
L’ultimo Natale del 1984
Lo chiese anche quel giorno di Natale 1984. La mamma voleva passare le feste nella casa di campagna, gli chiese di stare con lei ma lui rifiutò. Ci sarebbero state persone che non amava. Preferiva organizzarsi per conto suo. Chiese a Ilia De Simone, pittrice con la quale aveva una laison d’amore tra alti e bassi ma lei, con sua madre anziana e due figli aveva bisogno di tranquillità e non lo volle a casa sua. Ilia è stata, comunque, molto importante negli ultimi anni della sua vita “eravamo in simbiosi” – mi ha confessato “abbiamo organizzato insieme tante mostre. Avevamo scoperto le trasparenze, le velature del colore. Lui abbandona il prevalente figurativismo delle sue opere e si getta verso l’informale, verso l’istinto. Ci siamo aiutati molto in pittura e nella vita ma non ci siamo riusciti fino in fondo”. “Era molto complicato stare con lui” ha aggiunto. Ritornando a quel Natale Paolo aveva chiesto anche ad altri di passare la festa insieme, senza riuscirci.
Stefania Parisi era stata sollecitata dal parroco Antonio Pauselli ad aiutare Paolo e sapendolo solo era andata da lui quel 26 dicembre per vedere come stava. Troppo tardi.
Le feste, soprattutto quelle di Natale, amplificano le nostre angosce. Lo aveva capito e chiese aiuto. Immagino Paolo Cabiati in quel suo ultimo Natale del 1984 un senso di solitudine profonda, un’auto frustrazione che lo ha condotto a quel gesto.
Anna Maria Bartolucci

















































