
Il declino del Califfato e la riorganizzazione dell’ISIS
Negli ultimi anni, dopo il crollo del Califfato dell’ISIS in Siria e in Iraq (2017-2019), l’attenzione dell’opinione pubblica internazionale verso il terrorismo islamista è andata progressivamente diminuendo. Tuttavia, l’idea che il jihadismo globale sia stato definitivamente sconfitto si rivela oggi un’illusione ottimistica.
Benché mutato rispetto al suo apice – raggiunto tra il 2014 e il 2017 – il terrorismo islamico non è affatto scomparso: ha invece cambiato pelle, adottando nuove strategie, nuovi teatri operativi e nuove forme di comunicazione e radicalizzazione.
Il jihadismo dopo il Califfato: metamorfosi globale
I principali gruppi jihadisti – lo Stato Islamico (ISIS) e Al-Qaeda – hanno subito una grande metamorfosi strutturale. La caduta del Califfato territoriale in Siria e Iraq ha rappresentato un punto di svolta.
Dopo aver conquistato ampie porzioni di territorio tra Mosul e Raqqa, l’ISIS si era presentato come una vera e propria entità statale alternativa: dotata di un apparato rudimentale ma funzionante, con amministrazione, giustizia islamica, polizia religiosa, scuole e servizi sanitari.
Questa dimensione statuale aveva una forte valenza simbolica, strategica e propagandistica. Ma l’offensiva della coalizione internazionale ha progressivamente smantellato questa esperienza. La perdita di Raqqa (2017) e di Baghouz (2019) ha segnato la caduta del Califfato fisico.
La nuova geografia del jihadismo globale
L’ISIS si è trasformato in una rete transnazionale e decentralizzata, affiliandosi con gruppi jihadisti locali in contesti fragili: Africa occidentale e Sahel, Mozambico settentrionale, Afghanistan, Libia, Sinai, Congo, Pakistan, Filippine.
Qui ha saputo adattarsi alle dinamiche locali, sfruttando tensioni etniche, rivalità religiose, instabilità e marginalizzazione sociale. Questa decentralizzazione ha reso l’ISIS meno visibile, ma più resiliente e capace di rigenerarsi attraverso un modello di franchising del jihadismo globale.
Anche Al-Qaeda, sebbene meno mediatica, mantiene una rete radicata. In diverse aree instabili – come il Sahel – gruppi affiliati come il JNIM si contendono territorio e influenza con l’ISIS.
Dall’Africa all’Afghanistan: focolai jihadisti attivi
In Nigeria Boko Haram e ISWAP insanguinano il Paese. In Mozambico la provincia di Cabo Delgado resta teatro di insurrezioni jihadiste. In Afghanistan il ritorno dei Talebani non ha portato stabilità: l’ISIS-K ha accresciuto la propria attività, colpendo minoranze sciite, ONG e obiettivi talebani, come dimostrato dagli attentati a Kabul e Mazar-i-Sharif nel maggio 2022.
L’Africa subsahariana è divenuta l’epicentro del jihadismo globale. Dopo il ritiro delle truppe francesi dal Sahel e la crisi politica in Niger e Sudan, molti gruppi jihadisti si sono rafforzati, occupando aree abbandonate dagli Stati.
Lupi solitari e minacce in Europa
La cosiddetta sahelizzazione del jihadismo vede milizie islamiste agire come attori semi-governativi, imponendo regole e tassazioni, offrendo sicurezza e sfruttando la mancanza di alternative statali.
In Europa la minaccia jihadista ha subito una trasformazione: se tra il 2015 e il 2017 dominavano grandi attacchi coordinati, oggi prevalgono azioni individuali. I cosiddetti lupi solitari, spesso giovani radicalizzati online, con disagi psichici o precedenti penali, sono ispirati dalla propaganda jihadista pur senza legami strutturati con gruppi terroristici.
Attacchi recenti in Francia (Parigi e Arras, 2023), Germania (Solingen, 2024) e Belgio (Bruxelles, 2023) dimostrano come il jihadismo resti una minaccia endemica, soprattutto nelle periferie urbane segnate da crisi identitarie e marginalità sociale.
Carceri, propaganda e nuove tecnologie
Un ulteriore vettore di radicalizzazione è rappresentato dalle carceri europee, dove il jihadismo trova terreno fertile tra soggetti vulnerabili. Le autorità di Francia, Belgio e Spagna hanno avviato nuove misure contro la radicalizzazione carceraria tra il 2024 e il 2025.
La propaganda jihadista, oggi, è più sofisticata. Nonostante le restrizioni delle piattaforme mainstream, continua a circolare tramite applicazioni criptate, social alternativi e dark web. Alcuni gruppi utilizzano anche l’intelligenza artificiale generativa e deepfake per creare contenuti, diffondere messaggi e costruire narrative di vittimismo islamico.
Criptovalute e darknet vengono usati per il finanziamento.
Il jihadismo come minaccia persistente
La retorica jihadista si alimenta di eventi simbolici: il conflitto israelo-palestinese, la percezione di discriminazioni contro i musulmani in Occidente, la retorica islamofoba.
Il rafforzamento dei rapporti tra Israele e alcuni Paesi arabi è stato descritto dai jihadisti come un tradimento, rafforzando la loro immagine di un Islam autentico da difendere.
Il jihadismo globale non è un’ombra del passato, ma una minaccia mutata, sotterranea e resiliente. La sua capacità di adattarsi ai vuoti del potere, alle fratture sociali e alle nuove tecnologie lo rende oggi meno visibile ma non meno pericoloso.
Conclusioni: una risposta integrata per contrastare la radicalizzazione
Ignorarlo significa sottovalutare la sua evoluzione; combatterlo richiede visione, responsabilità e una risposta che non sia solo muscolare, ma anche culturale, sociale e politica.
Perché il terrorismo prospera dove lo Stato fallisce e l’indifferenza regna. Solo una strategia integrata – lucida, inclusiva e consapevole – potrà spezzare il ciclo della radicalizzazione e impedire che il jihadismo trovi nuovi focolai nel cuore del nostro tempo.
Roberto Rapaccini
