
Una riflessione sull’assenza di impegni concreti e sul ruolo crescente delle città
Si è conclusa, da pochi giorni, a Belem, in Brasile, la trentesima edizione delle COP, ovvero della Conferenza delle Parti, che raccoglie, sui problemi e le scelte relativi alla crisi climatica, i principali paesi del mondo.
Anche questa volta, malgrado gli sforzi di mediazione e con il peso di assenze clamorose e gravi – come quella statunitense – tra le esigenze urgenti di misure condivise di mitigazione e adattamento, con le relative risorse straordinarie, e i contenuti delle conclusioni della Conferenza, vi è stato uno scarto assai grande.
Il contenimento del riscaldamento medio del Pianeta entro 1,5°C resta una chimera e un impegno irresponsabilmente disatteso.
La transizione ecologica, e in particolare quella energetica, non stanno decollando, per la forte opposizione dei padroni delle fonti fossili e di molti governi.
Soprattutto, i paesi più ricchi e consumisti, che stanno provocando il disastro climatico, non sono disposti a fare la loro parte, per aiutare finanziariamente i paesi più poveri a fronteggiare problemi immensi che subiscono, senza averli causati.
Il ruolo delle città e delle regioni nella transizione
Sforzandoci di vedere un lato positivo nei lavori della COP30, si può dire che, per la prima volta, vi è stato il riconoscimento del ruolo delle città e delle Regioni nell’azione di contrasto al possibile collasso climatico del Pianeta.
Si è accettato, per lunghi anni, una sorta di paradosso: mentre il 66% delle emissioni di CO₂ è prodotto negli spazi urbani, i rappresentanti di questa enorme realtà politica e insediativa non sono mai stati soggetti protagonisti delle COP.
Eppure, molte importanti città metropolitane si sono autonomamente costituite in rete di collaborazione e hanno attivato misure pilota significative, sia sul versante della mitigazione dei fattori climalteranti, sia su quello dell’adeguamento ai cambiamenti ormai irreversibili.
Cambiamenti climatici sempre più visibili
I cambiamenti si manifestano sia con fenomeni sistemici – come il riscaldamento e l’acidificazione dei mari, lo scioglimento dei ghiacci perenni, la desertificazione – sia con l’aumento della frequenza e intensità di eventi estremi come alluvioni, uragani e incendi.
È stato perciò un segno positivo leggere della partecipazione della Regione Umbria e dell’ARPA alla COP30 di Belem.
L’importanza dei piani territoriali e urbani di decarbonizzazione
Ora si tratta di passare ai fatti, predisponendo – con ampia partecipazione di progetto – un piano regionale di decarbonizzazione, articolato per ambiti territoriali, come i sistemi territoriali intermedi (es. il Ternano) e le aree interne.
Sarebbe anche l’occasione per stimolare gli Enti locali, in particolare i Comuni, a dotarsi di piani urbani di decarbonizzazione come contributo concreto alla transizione ecologica.
Una transizione che deve portare da un modello di sviluppo industrialista e consumista a uno innovativo nelle tecnologie, sostenibile sotto il profilo ambientale, economico, produttivo e sociale.
Il caso Terni: tra identità industriale e futuro sostenibile
Terni, che viene da una storia secolare di industrializzazione pesante e inquinante, non deve smarrire la sua identità manifatturiera.
Può riuscirvi solo adottando come bussola:
- l’economia circolare
- le fonti rinnovabili
- la digitalizzazione pervasiva
- i valori della coesione sociale
Solo così sarà possibile affrontare il cambiamento climatico con giustizia ambientale e sociale, trasformando le debolezze in opportunità per il territorio.
Giacomo Porrazzini

















































