
Quando non c’era né televisione, né radio nelle case degli italiani e la maggior parte degli abitanti erano contadini, le storie, le superstizioni, gli avvenimenti e il sapere locale venivano tramandati oralmente. Nelle lunghe sere invernali, accanto al fuoco del camino, unico posto caldo oltre alla stalla, ci si radunava in semicerchio e mentre le donne sferruzzavano un paio di calzettoni di lana, si raccontavano le storie che si tramandavano di generazione in generazione. Per i più giovani voglio ricordare che solo dal 1950 in poi la diffusione degli apparecchi radio raggiunse quasi tutte le abitazioni espandendosi anche nelle campagne.
La routine dell’uomo e delle cavalle
Ed ora veniamo alla storia. Tanto tempo fa, poi vedremo di quantizzare quanto tempo fa, un uomo teneva alcune cavalle al pascolo estivo sui monti sopra Vacone, luogo sacro per i romani. A causa del caldo le poche fonti del posto erano asciutte e quest’uomo era costretto, quasi ogni giorno, a salire sul monte, tirare su l’acqua da un pozzo e riempire i trocchi per dissetare le sue bestie.
I trocchi non erano altro che tronchi d’albero scavati che fungevano da abbeveratoio.
Quando arrivava sul posto trovava le sue cavalle che lo stavano aspettando, avendolo sentito mentre saliva lentamente incitando l’asina che era più interessata a strappare cardi da terra che a camminare spedita. Riempiti con acqua fresca gli abbeveratoi, mentre le cavalle si dissetavano, il padrone sedette all’ombra, tirò fuori dalla tracolla di pelle un fazzolettone grigio a quadretti e se lo mise sulle ginocchia. Aprì i lembi del fazzolettone e ne estrasse un pezzo di pane e un bel pezzo di formaggio fresco di pecora. Con un coltello a punta ricurva, detto ronchetta adibito a mille usi – tagliò un pezzo di formaggio e se lo mise in bocca, seguito da un pezzo di pane; ogni tanto beveva un sorso di vino da una borraccia.
Intanto, mentre masticava, dava uno sguardo alle cavalle che avevano il loro da fare per scacciare le mosche e i tafani che le tormentavano giorno e notte. Tutte le cavalle avevano bevuto, tranne una.
Il comportamento misterioso della cavalla
Si ricordò allora, pensandoci bene, che non l’aveva mai vista bere insieme alle altre, nemmeno nei giorni precedenti: si avvicinava ai trocchi per stare in compagnia, limitandosi a scacciare le mosche, ma non beveva; allora l’uomo si maledisse per la sua superficialità e tornò a chiedersi perché non bevesse.
Esaminò la bestia con cura ma non notò alcunché: anzi era la più bella e la più in carne di tutte, segno questo che mangiava, beveva e stava bene in salute. Ma quando e dove beveva? Era un mistero!
Si ripropose allora di osservarla fino a sera per vedere se le veniva sete. Dopo un po’ di riposo le cavalle ripresero a pascolare inoltrandosi lentamente nel bosco, ognuna per una direzione diversa e l’uomo seguì a distanza quella che non aveva bevuto. Essa si mantenne sempre nella zona più impervia del monte, costeggiando le rocce che si innalzavano in alcuni punti per circa tre metri, in altri meno, in altri ancora fino a quattro o cinque metri. Al di sopra delle rocce si intravedeva un altro livello di rada boscaglia scoscesa, adatta più agli stambecchi che ai cavalli.
La scoperta della sorgente
Verso il tramonto la cavalla si fermò accanto a un costone roccioso con una grande fenditura: si vedeva che era già stata più volte in quel posto per lo sterco accumulato in terra. La cavalla si voltò verso il padrone come per invitarlo ad osservare meglio poi infilò la testa nella fenditura e iniziò a bere.
L’uomo sentiva il rumore dell’acqua ingoiata dalla bestia e avvicinandosi alla parete vide che dove finiva la fenditura c’era una piccola pozza d’acqua di una trentina di centimetri, dove la cavalla stava immergendo il muso. Non si capiva se l’acqua venisse da sotto o scendesse da sopra e tutto sommato all’uomo non interessava più di tanto.
La borraccia sparita
Si bagnò le mani nell’acqua freschissima e pensò di lasciarci la borraccia col vino rimasto, per berlo il giorno dopo. La sistemò nella parte più interna della fenditura in modo che non fosse visibile a un casuale scopritore della sorgente e ridiscese in groppa all’asina verso la sua casa.
Il giorno dopo, verso le quattro del pomeriggio, tornò sul monte. L’acqua nei trocchi era quasi finita per cui si mise a riempirli. Finito il lavoro bevve un sorso di freschissima acqua dal secchio ma pensò che un sorso di vino sarebbe stato più gradevole. Si incamminò verso l’anfratto e una volta arrivato infilò la mano tra le rocce per prendere la borraccia. Ma la borraccia non c’era. Me l’hanno fregata, pensò subito.
Continuò a tastare alla cieca fra quelle pietre frastagliate, infilando il braccio nell’acqua fin dove poteva arrivare: sentiva solo acqua e pietre e niente altro. Si mise allora l’anima in pace maledicendo il momento in cui aveva abbandonato la sua amata borraccia e se ne tornò a casa.
Una sorpresa al mulino di Stifone
Non raccontò la cosa a nessuno, temendo di diventare lo zimbello del paese. Molto tempo dopo (qualche mese? Un anno? O più? -non lo sappiamo-) il nostro andò a macinare il grano al mulino di Stifone che sfruttava la grande forza dell’acqua sorgiva, all’interno del fiume Nera.
Scaricò il grano e iniziò a macinare. Mentre la macchina operava con un frastuono infernale che si sommava al rumore delle acque, lui uscì all’aperto per mangiare un boccone, fare due chiacchiere con gli altri contadini e allontanarsi un po’ da tanto rumore… e… accidenti, ma quella era la sua borraccia… la sua borraccia appesa a un chiodo, sul muro.
Una storia che si tramanda
Ecco chi gliela aveva fregata! Ora avrebbe fatto i conti con lui! Entrò con calma dentro il mulino, chiamò il padrone mentre il sangue gli andava al cervello e chiese di chi fosse quella borraccia.
Ah -disse il padrone- l’abbiamo trovata tempo fa impigliata nella ruota ad acqua… forse è caduta a qualcuno nel fiume, chissà dove e chissà quando, e piano piano è arrivata qui. Questa parte di fiume che usiamo noi viene da sottoterra, da sotto la montagna di Narni, e ogni tanto troviamo qualcosa… qualcuno dice che porta pure l’oro…
L’uomo allora rivendicò la sua borraccia raccontando la sua storia e il mugnaio non ebbe alcuna difficoltà a credergli. Questo evento mi è stato raccontato e credo sia avvenuto molto probabilmente prima della scoperta dell’energia elettrica, quando i mulini e i frantoi si trovavano tutti lungo il fiume per sfruttarne la forza motrice. A Terni c’era la massima concentrazione di questi macchinari ma anche Stifone, nel suo piccolo, si dava da fare.
La borraccia che viaggia sotto terra dai monti di Vacone fino ad arrivare a Stifone, può sembrare uno di quei racconti fantastici e improbabili.
Se qualcuno di voi ha visto il DVD storico-scientifico Il mistero delle acque di Stifone può comprendere agevolmente che quanto detto può essere realmente accaduto.
Vittorio Grechi

















































