
Chi come me, è nato a metà degli anni Settanta, ha imparato presto che desiderare significava attendere. L’attesa stessa faceva parte dell’esperienza, per i più giovani oggi l’attesa è principalmente noia.
La musica come esperienza profonda
Ricordo perfettamente il regalo dei miei tredici anni: l’LP Musica è di Eros Ramazzotti (uscito qualche mese prima del mio compleanno). Lo ascoltavo e riascoltavo, prima sul giradischi, poi registrato in cassetta per portarlo nel walkman. Quelle canzoni diventavano una colonna sonora obbligata, quasi esclusiva, perché di alternative non ce n’erano molte. La “scarsità” rendeva ogni scelta più “intensa”.
Film, televisione e memoria condivisa
Lo stesso valeva per i film e la televisione. Non si “scrollava” tra migliaia di titoli, si attendeva la prima serata di RaiUno o la programmazione del cinema. E proprio per questo ogni visione lasciava un segno profondo: il ricordo di una battuta, di una scena, di un’emozione rimaneva scolpito nella memoria con la forza dell’unicità.
La generazione dell’abbondanza
Oggi i ragazzi nati in tempi più recenti vivono in uno scenario completamente diverso: quello dell’abbondanza, se non addirittura dell’eccesso. Spotify offre milioni di brani, Netflix e Prime Video rinnovano il catalogo ogni settimana, TikTok scandisce i minuti con un flusso ininterrotto di video.
Cultura veloce e superficiale?
L’esperienza culturale è rapidissima, onnivora, frammentata. I giovani provano di tutto: un pezzo trap, due episodi di una serie, qualche pagina su Kindle, un podcast durante il tragitto in bus. Non c’è il tempo per desiderare, perché tutto è già lì, pronto e disponibile.
Scarsità contro abbondanza
Si delineano così due modelli culturali opposti. Da una parte, le generazioni della “scarsità”: meno offerta, più ripetizione, più profondità. Dall’altra, la generazione dell’”abbondanza”: più offerta, più libertà, più velocità. Non è questione di stabilire quale modello sia migliore: entrambi hanno pregi e limiti.
Una relazione diversa con la cultura
Noi sappiamo cosa significa consumare fino all’ultima goccia un disco, leggere lo stesso libro dieci volte, imparare a memoria le battute di un film. Sappiamo cosa significa che la cultura diventi parte del nostro tessuto quotidiano, non un contenuto da scorrere distrattamente tra altri mille.
La lezione da trasmettere
E allora, se ci chiamano “boomer” con un sorriso di sufficienza, non ce la prendiamo, siamo testimoni di un modo diverso di vivere, in qualche modo più profondo. Una lezione che, se correttamente trasmessa, potrebbe rendere l’oceano digitale di oggi, un luogo non solo immenso, ma anche “di valore”.
Alessia Melasecche
















































