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Quando il Tevere arrivava fino a Terni

Appena 1 milione e 900.000 anni fa il Fiume Tevere, il più importante corso d’acqua che abbia mai solcato il territorio dell’Umbria, si spingeva fino a lambire la conca ternana.

Sono testimonianza incontrovertibile di questa antica realtà i numerosi depositi sedimentari che il fiume ha lasciato in molte aree limitrofe alla depressione di Terni e che si sono conservati fino ai giorni nostri. Questi sedimenti oggi costituiscono in buona parte i dolci rilievi collinari su cui sorgono i centri abitati di Montecastrilli, Acquasparta, Massa Martana, Casigliano, Avigliano Umbro, tanto per citarne alcuni fra i principali. Sabbie, limi ed argille sono i costituenti principali di queste colline e, da un punto di vista paleoambientale ossia della conformazione del paesaggio dell’epoca, la loro presenza nonché alcune testimonianze fossilizzate al loro interno consentono di immaginare, con una certa chiarezza, quale fosse il modello fluviale in vigore.

Gli strati di sabbie, che presentano una notevole variabilità nella dimensione dei granuli costituenti, più o meno grossolani, testimoniano la deposizione avvenuta all’interno dei canali di scorrimento idrico, mentre i depositi di sedimenti via via più fini, che vanno dai limi alle argille, sono caratteristici della cosiddetta piana di inondazione. Nei periodi durante l’anno in cui i canali tracimavano, a causa del maggior apporto idrico legato sostanzialmente a fenomeni di inondazione, vaste aree circostanti venivano allagate dalle acque cariche di fango.

Nelle zone dove le acque tendevano a ristagnare più a lungo, spesso creando piccoli laghetti effimeri, avveniva la decantazione graduale delle particelle sedimentarie più fini. Questo meccanismo ha determinato la sovrapposizione alternata nel tempo dei diversi corpi sedimentari che oggi è possibile osservare in molti tagli verticali naturali e che consente di risalire ad un modello fluviale ben definito, detto a canali intrecciati. Qui una serie di canali di scorrimento dall’aspetto nastriforme serpeggiano e si intrecciano frequentemente all’interno di un vasto alveo fluviale.

Durante i periodi di magra le molte aree non interessate dalla presenza di acqua, spesso ricche di vegetazione anche rigogliosa, erano frequentate dagli animali al pascolo, mentre nei periodi più piovosi i canali letteralmente scomparivano sotto la forza delle acque di tracimazione che tendevano ad espandersi per tutto il letto del fiume. Un gran numero di elementi conservati allo stato fossile, testimoni della frenetica attività biologica presente in questo ecosistema, ha concorso non solo alla ricostruzione di un’antica immagine territoriale con un certo grado di dettaglio, ma anche a collocarla nel tempo preistorico.

Fra le testimonianze più interessanti che sono state recuperate, in numerose campagne di ricerca condotte dallo scrivente, vale la pena ricordare gli scheletri fossilizzati di alcuni mammiferi erbivori. Essi furono rinvenuti interi e nella medesima posizione che avevano al momento della morte, caratteristica questa che suggerisce una morte repentina ed un rapido seppellimento da parte del fango. L’unica condizione che determina un tale risultato è una violenta inondazione e la conseguente morte per annegamento.

Poco più a Sud, all’altezza di Narni Scalo, affiorano dei sedimenti argillosi, coevi ai precedenti, che conservano al loro interno abbondanti conchiglie di molluschi fossili tipici di un ambiente salmastro. Essi sono la testimonianza che le acque dolci fluviali, giunte all’altezza di quella che oggi è la galleria S. Pellegrino lungo il raccordo autostradale Terni-Orte, si mescolavano con le acque dell’antico Mar Tirreno. Di fatto, in quel periodo le antiche spiagge si trovavano appena aldilà della catena montuosa e le acque del mare frequentemente facevano ingresso nella vallata interna, attraverso un varco aperto nelle rocce calcaree della dorsale montuosa.

Certamente un’immagine ambientale completamente diversa da quella a cui siamo abituati oggi che però ci fornisce alcuni elementi di riflessione alquanto importanti. Da un lato la chiara idea di quanto un territorio possa cambiare nel corso del tempo, ma anche in che misura la dinamica ambientale sia così potente da influenzare gli organismi viventi che si trovano ad occupare i diversi ecosistemi nel corso del tempo, compresi noi umani. Quella moltitudine di animali che viveva qui 1 milione e 900.000 anni fa, in condizioni climatiche di stampo tropicale, è completamente estinta. Evidentemente il cambiamento climatico-ambientale ha determinato importanti modifiche anche nella compagine biologica.

Attualmente la situazione territoriale mostra tutt’altro aspetto: il Fiume Tevere non si spinge più tanto a Sud. Oggi, all’altezza di Todi, il corso d’acqua attraversa un altro varco apertosi nella dorsale montuosa. Evidentemente, ad un certo punto della storia del territorio, il suo alveo è stato deviato dall’azione delle forze geologiche che hanno plasmato le dorsali montuose e le valli fluviali adiacenti. Da questo passaggio più recente il Tevere percorre un lungo tratto nel territorio laziale, attraversando la campagna romana e sfociando ancora una volta nel Mar Tirreno. Ma questa volta molto, molto più lontano dalle nostre zone.

Enrico Squazzini
Centro Ricerche Paleoambientali di Arrone

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