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Noi, politeisti e poligami

Noi siamo politeisti, inutile negarlo.
A parte gli atei, da noi il credente non crede affatto in un solo Dio, ma –proprio come il suo antenato Romano– in una molteplicità di dèi: e c’è chi lo protegge dalla grandine e chi dalla scrofola; chi gli fa ritrovare ciò che ha smarrito e chi gli conserva la fedeltà della moglie (per gli amanti e le coppie gay ancora la cosa è sub iudice, ma qualcuno anche per loro si troverà). Per non parlare della potentissima Dea madre.
Naturalmente non solo ogni paese, ma spesso ogni frazione ha il suo dio locale che lo protegge da tutto e da tutti. E, si capisce, sempre con efficacia.
Alludiamo, evidentemente, ai santi. E ha un bel dire madre Chiesa, da un ineccepibile punto di vista teologico, che i santi non sono affatto dèi, così come la Madonna niente ha a che vedere con la pagana Dea madre: il popolo, non solo meridionale, conosce benissimo il punto di vista della Chiesa, ma altamente se ne infischia: con i fanti si può scherzare, con i santi, no: l’invocazione accorata del singolo al proprio santo protettore, affinché gli risolva il problema, implica la fede che quel santo sia in grado di favorirlo in misura statisticamente significativa.
Ma allora i santi sono onnipotenti? Qualcuno lo pensa: andate a dire a Napoli che S. Gennaro non lo è, e vedrete. Altri, più prudenti, pensano che i santi non sono onnipotenti, ma sedendo accanto al buon Dio, sono in grado di parlargli, intercedere e convincerlo (e vedete un po’ che razza di radici troviamo all’origine della Raccomandazione). A parte l’inammissibile antropomorfizzazione dell’Ente di cui neppure il nome dovrebbe essere pronunciato invano, intercedere significa indurre Dio a spostare la propria volontà da un’idea (la Sua) a un’altra (quella del santo che intercede).
Ma nel momento in cui il Padreterno cambia opinione, perde completamente la propria identità, in quanto o le cose erano giuste prima e allora cambiandole sbaglia o viceversa: e allora, peggio, le deve cambiare perché aveva sbagliato prima. Per un Essere perfettissimo non è granché.
È chiaro che un simile modo di concepire Dio e i santi è incompatibile con la teologia cattolica; e chi ne potrebbe dubitare?
Qui si sostiene solo che le persone comuni, i quique de populo vivono, nel proprio intimo e a livello puramente psicologico, i santi di oggi esattamente come Greci e Romani vivevano gli dèi di ieri; e questo in quanto se gli dèi del politeismo, spazzati via dalle religioni monoteiste, sono cambiati, l’uomo invece non è cambiato affatto e, alla faccia di Brecht, ha ancora bisogno tanto di santi quanto di eroi.
Ma questo, che per doveroso rispetto alla teologia e alla dottrina ecclesiastica chiameremo politeismo psichico, comporta una conseguenza di carattere non religioso e del tutto privato: la poligamia.
Intendiamoci: sappiamo tutti benissimo che da noi è punita persino la bigamia. Ma anche qui, proprio come nel campo religioso, una cosa sono teoria e legge, un’altra la pratica popolare quotidiana.
Il rifiuto della poligamia dovrebbe infatti implicare la fedeltà se non ad un unico partner per tutta la vita, almeno a un partner per volta. Ma questa regola, che a parole tutti considerano giusta, viene nella pratica violata in continuazione, perché non solo da noi molti soggetti, ufficialmente coniugati o meno, hanno rapporti sistematici con altri partner, ma -ciò che più conta- questi soggetti non incorrono affatto nella riprovazione generale e vengono visti in genere con indulgente benevolenza quando non con invidiosa ammirazione.
Politeismo (psicologico) e poligamia (pratica) sono quindi indissolubilmente interdipendenti e trovano le loro radici nella parte più profonda della psiche. Eradicarli sarà difficile, a meno di un cambiamento davvero sostanziale dell’anima umana.
Molti ci hanno provato, nessuno ci è riuscito. Altri proveranno ancora.
Riusciranno?

Vincenzo Policreti

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