Nascita dell’Universo di Giampiero Raspetti

Redazionale la Pagina

Nella speranza che tesi e suggestioni da me esposte non risultino fortemente errate, devianti, od offensive, nel rispetto massimo per ogni fede religiosa, cerco di stimolare riflessioni per l’analisi filosofica, che, a mio parere, dovrebbe e potrebbe assicurare indicazioni significative verso nuove e recenti tematiche.

L’uomo, in qualsiasi epoca e regione del mondo, ha creduto di essere figlio privilegiato di una forza sovrannaturale creatrice (Zeus, Deus, Dio per la cultura occidentale) caratterizzata da potere variamente configurato, pensata e rappresentata con forme e comportamenti rigorosamente simili a quelli dell’uomo stesso. D’altra parte è stato proprio il loro sistema cognitivo, atto a sovrastimare i pericoli costantemente incombenti e quindi a crearsi fantasmi, immagini ed entità sovrannaturali, che ha permesso ai nostri antenati di stare sempre in guardia e di sopravvivere per perpetuare l’umanità.

Fino a pochissimi secoli fa, ancor privo di prove scientifiche attendibili e molto attento a non approfondire quelle esistenti, era convinto ed imponeva, con le buone o con le meno buone, di credere che il creatore avesse posto la Terra al centro di tutto l’universo ed avesse concesso vita solo sul nostro pianeta. Annota, parodiando, Savinien Cyrano de Bergerac (1619-1655): Come colui che trovandosi su un’imbarcazione che si muova vicino a terra, crede di starsene immobile e che la riva cammini, così gli uomini, girando con la terra intorno al cielo, hanno creduto che fosse il cielo a girare intorno alla terra. Aggiungete poi a questo fatto l’orgoglio insopportabile dell’uomo il quale si persuade che la natura non è stata fatta che per lui, come se fosse verosimile che il sole, un gran corpo quattrocento e trentaquattro volte più grande della terra, fosse stato acceso soltanto per far maturare le sue nespole e far crescere i suoi cavoli. D’altra parte, se a guida e a coperchio delle concezioni troviamo mistica unita a presunzione di essere detentori della verità, privi però del conforto di osservazioni scientifiche e di fatti incontestabili, quell’uomo, quando ha difficoltà a dimostrare, nasconde tutto nel mondo del mistero, del sovranaturale e dell’irrazionale, etichettando al più l’interlocutore dubbioso come “colui che non può capire”!

Oggi assumiamo per certo che: il nostro pianeta non è il centro del tutto, ma uno degli infiniti centri, ed è parte infinitesima di un universo (Cosmos di Pitagora e Mundus dei Latini, ordinato e pulito nel significato) che esiste da circa 15 miliardi di anni; la nostra Terra ha non meno di cinque miliardi di anni; senza acqua non può formarsi la vita, quindi principio primo è, come ab initio apprendemmo dal sommo Talete, udor, acqua cioè! I numeri, che una volta si ignoravano (ma già le eccezioni di Aristarco e di Eratostene dovevano far capire di più), sulla durata dell’universo e sulla sua infinità, sulla lunghissima evoluzione della vita dell’uomo e di tutti gli altri animali, pongono nuove questioni, inediti problemi che sarà bene analizzare e discutere, prima di demonizzare o escludere, tacciando di eresia.

Lo studio dei numeri, finiti ed infiniti, e dei loro paradossi dovrebbe avere largamente insegnato, oltre ai continui esempi dalla scienza acclarati, che non tutto può ridursi alla causa efficiente ed alla causa finale di aristotelica memoria. Le caratteristiche poi dell’infinità e dei numeri infiniti (sarebbe bene che tutti possedessero rudimenti di matematica per capire l’infinito e per non adattarlo alla propria ideologia!) sono difficilmente digeribili da chi pensa che tutto si debba svolgere così come è accaduto a lui stesso e a quel che vede comunemente intorno, cioè come e perché nasciamo e come e perché moriamo. Esprimiamo spesso certezze che altro non sono che manifestazioni di ignoranza cosmica. Oggi la filosofia può tener conto di dati scientifici inoppugnabili non disponibili per i grandi filosofi del passato (anche recente) ed è bene che siano presi seriamente in considerazione.

La bioastronomia, la nuova scienza che abbraccia tutte le discipline concernenti l’origine, l’evoluzione e l’espansione della vita nell’universo, presenta oggi, periodicamente, scoperte sorprendenti che cominciano a far luce sulla storia dell’universo e della vita dello stesso. Fisici matematici astronomi spiegano sempre, abbastanza compiutamente, passato presente futuro, mentre astrologi e superstiziosi sono penosamente e capziosamente avvinti solo al passato, alle sue formule magiche, alle sue alchimie, ai suoi momenti ingannevolmente detti sacri. La scienza, in continua evoluzione, migliora, relativizza, dimostra, cancella ignoranza e superstizione, verga il futuro.

Tralasciando per un attimo la riflessione su come possa avvenire il passaggio da materia a vita e ribadendo che, comunque, l’intervento divino, da molti postulato, non ha le caratteristiche di una spiegazione, ma appare come una sorta di tentativo tendente a paralizzare argomentazioni scientifiche, i processi evolutivi studiati e spiegati dalla scienza sono indiscutibilmente alla base di ogni tipo di vita a noi nota, sia quella del paleozoico cambriano di circa 500 milioni di anni fa, quanto di quella del quaternario di alcuni milioni di anni fa, allorché ebbe inizio il percorso vitale che conduce al sapiens. Recenti scavi in Marocco spostano incontestabilmente (esami del radiocarbonio) gli inizi del sapiens a circa 300-350 mila anni fa, superando il record precedente di circa 100 mila anni. La vita è dunque un processo, lento quanto si vuole, ma processo e, soprattutto, non è uno “status”, una situazione confezionata cioè una volta per tutte. Appare dunque ragionevole supporla come un perenne laboratorio di reazioni chimiche basate su complesse molecole organiche, contenenti cioè carbonio. Per passare alla vita come creazione bisognerebbe poi definire in quale epoca sia stata effettuata, ai tempi del Big Bang o alla nascita di una Calceola sandalina (devoniano-siluriano, circa 400 milioni di anni fa) o di un australopiteco o di un pitecantropo (qualche centinaia di migliaia di anni fa).

Si obietta, in genere, che io, non essendo dio (altra verità incontestabile), non posso conoscere la sua volontà. Giustissimo, perché però molti altri, che dèi non sono, non fanno altro che dire come la pensa il loro dio? Non è irriverente chi pone tali interrogativi, lo è invece, non poco, chi non se li ponga o abbia a negarli, non di rado con violenza cieca e assurda, come da sempre usuale per gli integralisti. Io preferisco le risposte che trovo con i miei studi, per i quali, e solo per i quali, ho estrema fiducia, almeno fino a quando non siano scientificamente smentiti, momento in cui cambierò, disinvoltamente, tesi ed assiomi. Non credo, contrariamente alla quasi metà dell’attuale popolazione americana, nel calendario di Ussher-Lightfoot risalente al XVII secolo, ma ancora largamente presente nella mentalità mondiale comune. L’opera deriva da una lettura interpretativa della Bibbia fatta da James Ussher, arcivescovo anglicano di Armagh, nell’Irlanda del Nord. Il lavoro di Ussher, conosciuto come Annales veteris testamenti, a prima mundi origine deducti, rappresentò un significativo contributo al lungo dibattito sull’età della Terra, molto importante per gli studiosi cristiani. Ussher dedusse che il primo giorno della Creazione sarebbe iniziato al tramonto precedente domenica 23 ottobre del 4004 aC (Isaac Newton propose il 4000 aC).

Essere in grado di argomentare e dimostrare in merito alle date dell’universo, sapere che il suo esistere può durare al massimo altrettanti anni (circa 15 miliardi), poter veder brillare miriadi di stelle sapendo che sono già morte, sparite da milioni di anni, verificare che l’infinito universo è in infinita espansione e quindi in continua creazione di spazio, conoscere molti dei fenomeni che si svolgono quotidianamente nel grande laboratorio del cielo (quello più vicino a noi), eliminare tutte le mistiche e le superstizioni relative ai fenomeni celesti, è un po’ come limitare il potenziale sapienziale e decisionale di una divinità (so solo io quel che avviene, come avviene e perché avviene) e presagire alcune sue future decisioni (fine dell’universo). Proprio come l’avventura di Prometeo, che, togliendo agli dèi, per donarla agli uomini, una stilla di fuoco, ne limita, in qualche misura il potere. C’è da augurarsi che i fideisti siano alfine più umani e non condannino ancora ad atroci tribolazioni chi, come Giordano Bruno, per primo vide l’infinità del cielo ed i suoi infiniti centri o chi sapeva vedere prima (pro meteo).

Per quanto riguarda il passaggio dalla materia inerte alla materia vivente, grazie alla spettroscopia radioastronomica, è stato possibile rivelare nello spazio interstellare la presenza di un centinaio di molecole organiche complesse che sono alla base dell’evoluzione della vita a noi conosciuta. La bioastronomia, dal suo canto, ha dimostrato come le comete, composte in prevalenza di acqua, materiale organico e polvere interstellare, siano responsabili dello sviluppo della vita sul nostro pianeta. Circa 5 miliardi di anni fa sciami di comete scaricarono sulla Terra tutta l’acqua di cui sono formati gli attuali oceani e tutti i composti del carbonio necessari alla evoluzione prebiotica e quindi alla vita vera e propria. Questi “mattoni della vita” hanno trovato sul nostro pianeta le condizioni ideali (pressione, temperatura, campo magnetico) per potersi evolvere e, nel giro di qualche centinaia di milioni di anni, un tempo leggermente superiore al presunto atto creativo effettuato nel corso di un tramonto precedente la domenica, è avvenuto il miracolo necessario della vita. Poiché è anche verificato che l’universo consiste per lo più di idrogeno, ossigeno, carbonio e azoto, ne potremmo ragionevolmente far discendere che su qualsiasi pianeta di qualsivoglia galassia, se una forma di vita si è evoluta, alla sua base vi sia identica biochimica. Le comete quindi sembrano assumere un ruolo determinante nell’universo, quello di inseminatrici cosmiche e nello stesso tempo di catastrofiche sterminatrici delle specie viventi. Durante l’impatto (1994) della cometa Shoemaker-Levy con Giove si è infatti sprigionata un’energia di 100 milioni di Megaton (un Megaton è equivalente a un milione di tonnellate di tritolo; la bomba atomica su Hiroshima era equivalente a 15 mila tonnellate di tritolo). In un impatto simile con il nostro pianeta sarebbero scomparse tutte le specie viventi sulla terraferma, ma sarebbero sopravvissute le specie oceaniche che in seguito si sarebbero evolute in nuove specie terrestri e forse in nuove specie “intelligenti”.

Siamo soli nell’universo? Non abbiamo certezze sull’esistenza di altre vite, per certo però non possiamo escluderle e non possiamo affermare di essere gli unici beneficiari della vita. È certo che eventuali alieni non possano che essere molto diversi da noi nell’aspetto (come lo sono le migliaia di specie animali sul nostro pianeta) anche se le funzioni organiche dovrebbero essere molto simili perché derivanti da una stessa biochimica. Non è da escludere infatti che se milioni di anni fa, a causa di impatti catastrofici con comete o asteroidi, i dinosauri non si fossero estinti, la razza terrestre intelligente invece di svilupparsi dalle scimmie si sarebbe sviluppata dai dinosauri! Poniamo allora che altre vite si siano evolute. Lo avranno fatto a seconda dell’equipaggiamento del proprio pianeta. Questi esseri viventi alieni avranno creato divinità a loro sembianza, quindi divinità con altre forme ed altre proprietà, diversissime dalle nostre. Le divinità creatrici diventerebbero allora relative, quindi non assolute, valide solo per chi le ha immaginate e create e questo non susciterà l’entusiasmo di chi, sulla Terra, ha basato tutto il potere sull’unicità del suo dio.

Nell’Universo pulsano miliardi di galassie, ciascuna delle quali formata da centinaia di miliardi di stelle. La velocità con cui l’universo si espande, aumentando (creando) lo spazio allontana ogni galassia dalle altre e, un domani siderale, non un domani umano, ci porterà ad avere cieli notturni sempre meno stellati e per questo ci sentiremo sempre più soli. Non sappiamo se, con l’allontanamento delle stelle, l’uomo saprà espandere anche le sue nozioni scientifiche sulla vita, sulla nascita e sulla morte, o si immergerà di nuovo nel fideismo del ristretto sistema solare, di nuovo orticello, a curarsi delle sue nespole e dei suoi cavoli.

Confido ancor più nella filosofia e nella scienza!

 

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