Le feste di quest’anno

Le feste sono passate.

Le luminarie hanno addobbato le strade e le piazze come negli anni passati e la grande stella di Miranda affacciata sulla città ci ha ricordato il Natale e la gioia di questo periodo. Anche i negozi hanno mostrato i loro arredi natalizi, i loro lustrini e i loro colori sgargianti e luminosi.
In casa abbiamo fatto il presepe e l’albero, messo le luci alle finestre e scartato i regali che Babbo Natale ha portato ai bambini.
Abbiamo anche mangiato i dolci natalizi, i cappelletti in brodo come da usanza e le lenticchie a Capodanno per perpetuare la credenza che vuole che chi le mangia possa contare soldi per tutto l’anno.
Qualche incontro (limitato) tra parenti e amici c’è stato e i nonni hanno potuto riabbracciare i nipotini.
Abbiamo anche brindato, da soli o in compagnia, per ricordarci che queste feste sono sempre state un momento di allegria, di speranza, di condivisione.
E ci siamo abbracciati, spesso virtualmente, guardandoci negli occhi con un’intensità nuova, più forte perché veniva dal dolore e dalla paura che covava nel cuore. E ci sono stati anche i fuochi d’artificio e i botti nonostante l’ordinanza che li vietava.
Le tradizioni è difficile abbandonarle!
Abbiamo tutti scritto o pronunciato parole d’augurio per un 2021 che fosse pieno di salute e serenità per noi e per i nostri cari sperando in un nuovo inizio, una nuova ripartenza per la vita futura.
Abbiamo cercato di buttare dalla finestra lo spauracchio del covid, così come una volta, tanti anni fa, si buttavano i piatti vecchi dalla finestra in una specie di esorcizzazione del passato.
Ma in tutto questa parvenza di normalità e di ripetizioni di gesti e riti della tradizione quanta malinconia, quanta tristezza!
E soprattutto che sensazione di vulnerabilità!
La pandemia, improvvisa e devastante come un terremoto, ha lasciato nelle nostre menti effetti profondi: paura, impotenza, solitudine, ansia, incertezza, disagio, disorientamento, fragilità.
Ha sconvolto l’insieme dei rapporti e dei legami tra amici e familiari e le dinamiche degli incontri; ha ristretto gli spazi del vissuto.
Ma ha anche cambiato la scala dei valori: abbiamo ricominciato ad apprezzare una stretta di mano, un abbraccio, un saluto caloroso. Abbiamo imparato ad apprezzare le cose belle di ogni giorno, la quotidianità.
Abbiamo riscoperto una nuova solidarietà, una nuova condivisione di sentimenti e di affetti. In qualche modo ci siamo sentiti più uniti perché la nostra felicità e il nostro benessere non possono prescindere da quella di chi ci vive accanto, ma anche da quella delle persone che non conosciamo e che vivono la nostra stessa esperienza.
Abbiamo guardato dentro noi stessi per riflettere sul significato della vita e siamo andati indietro negli anni con qualche rimpianto per le cose non fatte e non apprezzate, o per le frenetiche corse in cerca del successo o dei soldi, per l’occasione perduta o per la parola gentile non data.
Queste feste appena trascorse, sia religiose che profane e comunque impregnate di una sacralità antica, con la loro appena percettibile parvenza di normalità e così cariche di nostalgia del passato, siano solo uno sprone a ricominciare, a ripartire, a ritrovare negli altri e in sé stessi una condivisione nei valori dell’uomo, a ripensare noi stessi e trovare un nuovo equilibrio e una nuova empatia con l’universo che ci circonda.

Nell’augurare a tutti serenità e salute, concludo con questa poesia di Fernando Pessoa
Di tutto restano tre cose
Di tutto restano tre cose:
la certezza che stiamo sempre iniziando,
la certezza che abbiamo bisogno di continuare,
la certezza che saremo interrotti prima di finire.
Pertanto, dobbiamo fare:
dell’interruzione,
un nuovo cammino,
della caduta,
un passo di danza,
della paura, una scala,
del sogno,
un ponte,
del bisogno,
un incontro.

Loretta Santini

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