Le faccine sullo schermo

Tanti quadratini sullo scherno del computer con belle faccine di bambine e bambini e in mezzo quella della maestra che spiega.
Poi tante icone: microfono acceso, microfono spento, mano alzata, mano abbassata, connessione attiva.

Ecco la DAD.

La DAD è un acronimo che significa didattica a distanza.
È praticamente il contrario della didattica in presenza in quanto la scuola viene fatta on line, cioè in videoconferenza.

Attualmente essa è stata perfezionata con la DDI (Didattica Digitale Integrata), un concetto diverso di scuola diversamente strutturato che integra didattica in presenza e a distanza, pensata soprattutto per le scuole superiori.

Ho avuto l’esperienza personale nella mia famiglia dove nipotini e nuora hanno operato in DAD.

Ho guardato quello schermo pieno di minuscole faccine degli alunni e la maestra che spiegava.

Una classe virtuale che si arrabattava per capire le parole, che combatteva con la connessione, che manovrava tasti spesso creando confusione. Ho visto una maestra alzare un foglio davanti allo schermo dove c’erano esempi di operazioni e frazioni: una fatica anche per trovare l’inquadratura giusta da far leggere agli alunni che poi gridavano all’unisono “ma è tutto sfocato, non vediamo niente!”
Che tristezza!
Che disagio!
Che malessere!

I bambini di oggi sono tutti supertecnologici, ma l’impressione prevalente è quella di una spersonalizzazione, di una grande stanchezza e conseguente distrazione per non poter seguire adeguatamente. È un disorientamento profondo. L’impressione è quella di una fatica che si accumula con il passare dei minuti, fatica della maestra innanzi tutto che deve tener viva l’attenzione. Fatica dei bambini dei quali vedi alla fine gli occhi che si perdono in alto o a lato. Non una parola con i compagni, non un contatto fisico, non uno sguardo che si incrocia.

Un brusco cambiamento non solo nei metodi di apprendimento, nell’ambiente dove si opera, ma soprattutto nella mancanza di quella interazione sociale che è fondamento della scuola per sviluppare le capacità cognitive e la personalità di un bambino.

L’acronimo DAD si può sciogliere anche in disagio a distanza.
Forse, in un futuro anche non troppo lontano la maggior parte dello studio verrà effettuato con questa modalità e già da tempo sono operanti università telematiche. Così pure per il lavoro di ufficio: oggi lo si definisce smart working, termini i quali nella realtà hanno il significato di lavoro intelligente e agile, ma hanno assunto quello di telelavoro.
La pandemia del covid-19 ci ha costretti a interrompere la scuola, il lavoro, le conferenze in presenza e abbiamo avuto, come dire, un primo assaggio di DAD e di smart working.

Tutto ciò è stato necessario per combattere e fermare questa pandemia, ma non eravamo pronti perché mancava un po’ di tutto: computer, una rete efficiente, l’esperienza, l’organizzazione degli spazi e dei tempi. Pensiamo a una famiglia dove sia i figli che i genitori siano in collegamento internet contemporaneamente tra le quattro pareti domestiche; pensiamo all’organizzazione del lavoro, al sovrapporsi delle voci, alla ricerca di spazi e tempi per ciascuno dei componenti.

Pensiamo e riflettiamo: se all’inizio di questa esplosione della pandemia sono state fatte scelte drastiche come la chiusura della scuola, c’era stato poi tutto il tempo di organizzarsi prima dell’arrivo della seconda ondata: non parlo dei banchi con le rotelle ormai divenuti una barzelletta, ma sull’organizzazione delle lezioni, sui trasporti, sulle misure di sicurezza, sull’uso delle mascherine, sugli orari.

I bambini e gli adolescenti, soprattutto loro, che hanno un’età che permette di assorbire tutto come una spugna e che sono nell’età formativa più intensa e importante, quelle faccine anonime sugli schermi, devono ritornare fisicamente insieme per poter ritrovare nella scuola un punto di riferimento fondamentale della loro crescita.

Ho circoscritto queste considerazioni al mondo dei bambini e degli adolescenti, consapevole che imponente e grave è la situazione riguardante gli studenti più grandi e soprattutto la scuola in generale i cui problemi, di radici lontane, sono stati prepotentemente portati in primo piano dalla pandemia: problemi di istruzione, di formazione, di cultura, di ammodernamento della tecnologia, di organizzazione, di programmi.

Sconsolata mi chiedo: quale futuro si profila per i nostri ragazzi?

Loretta Santini

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