LA LAUREA “PAGA”

Laurearsi o non laurearsi? Ripaga investire tempo e denaro nella formazione universitaria?

È un fatto: avere una laurea aumenta la probabilità di occupazione, e non di poco, ma nonostante questa probabilità sia cresciuta negli anni, nel passaggio tra la scuola e il lavoro ci sono ampi spazi di miglioramento anche per i giovani più preparati.

Alcuni neolaureati, infatti, sono ancora disoccupati a tre anni dal conseguimento del titolo di studio in questione, e in Italia sono molti di più rispetto agli altri Paesi europei.

I dati Eurostat nell’ambito dell’occupazione dei neolaureati nell’Unione Europea ci dicono che l’Italia occupa la posizione per nulla invidiabile di ultima della classe.

Nel 2022, solo il 65% dei neolaureati italiani di età compresa tra 20 e 34 anni ha trovato
lavoro, mentre sul podio di si sono posizionati il Lussemburgo, i Paesi Bassi e la Germania con tassi di occupazione rispettivamente del 93%, 93%, e 92%.

Dati che chiaramente evidenziano un notevole divario tra l’Italia e i paesi leader di questa classifica e in un contesto generale in cui l’UE nel suo complesso sta registrando una crescita costante, segnando un progressivo consolidamento del ruolo strategico del titolo di studio nel mondo del lavoro. Infatti, sempre nel 2022, l’82% dei neolaureati europei ha trovato lavoro, segnando un aumento del 7% rispetto al periodo 2014-2022, tendenza positiva interrotta solo negli anni della pandemia.

Un altro dato interessante è quello relativo alla riduzione del divario tra il tasso di occupazione dei neolaureati maschi e femmine, che si è attestato al 2% e rappresenta la disparità più bassa degli ultimi otto anni, segnalando un progresso verso una maggiore parità di genere nell’accesso al lavoro tra i neolaureati.
Nel 2019 era pari a 4 punti percentuali.

Va evidenziato altresì che le differenze nei tassi di occupazione tra i Paesi e tra i generi possono essere attribuite anche ai settori di studio e alla variazione nella domanda di lavoro; gli uomini e le donne tendono ancora oggi a specializzarsi in campi di studio diversi,
con una percentuale maggiore di studenti maschi che scelgono corsi di scienze e tecnologia, le famose lauree STEM (dall’inglese science, technology, engineering and mathematics), a differenza delle ragazze loro coetanee.

Inoltre, i dati mostrano che, a un anno dalla laurea, le prospettive occupazionali sono notevolmente differenziate a seconda del percorso di studi intrapreso; il tasso di disoccupazione è decisamente basso tra i laureati dei gruppi di informatica, ingegneria industriale e dell’informazione, medico-sanitario e farmaceutico, risulta essere invece particolarmente elevato nei gruppi di arte e design, psicologico, e letterario-umanistico.

Se si osservano poi i dati sulle retribuzioni di laureati e non laureati è chiaro che un titolo universitario permette di raggiungere, in media, retribuzioni maggiori rispetto a chi non lo possiede, ma il laureato inizierà a guadagnare con un certo “differimento” rispetto al coetaneo non laureato che ha incominciato a lavorare diversi anni prima.

Infine, va anche considerata la maggiore probabilità di ricoprire ruoli di responsabilità, difficilmente o più lentamente nel tempo raggiungibili da chi non consegue un titolo universitario.

Secondo un dato rilevato dall’Osservatorio Glickon nell’arco della nostra vita trascorriamo oltre 90mila ore lavorando; quindi, meglio farlo “riscuotendo” dall’investimento fatto nella formazione universitaria che “paga” non solo in termini di opportunità professionali e finanziarie, ma soprattutto nell’apertura di nuove prospettive e nella crescita personale.

Alessia Melasecche

 

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