In Clima di Festa

Cantori della Valnerina la Pasquarella

È un lungo periodo quello che tra Dicembre e Gennaio porta luci scintillanti, addobbi variopinti, regali di ogni tipo, festeggiamenti in compagnia, pranzi cenoni e leccornìe, ma anche un bilancio del tempo trascorso e attese e speranze di una vita nuova: abbiamo cominciato con il Natale e abbiamo finito con l’Epifania che, come dice il proverbio, “tutte le feste si porta via”.

È anche il periodo che più abbiamo atteso da bambini, forse anche più delle vacanze, perché c’era quell’atmosfera di allegria, di aspettativa di doni e dolciumi. Un tempo erano spesso solo mandarini e qualche caramella -c’era sempre un po’ di carbone a ricordarci che qualche capriccio lo avevamo fatto- ma tanto bastava a far sgranare gli occhi e aprire la bocca ad un sorriso.
Ora che siamo cresciuti i regali sono forse più consistenti e ricchi, i pranzi luculliani, i festeggiamenti più variegati e consistenti, le attese ancora più grandi, ma è rimasto inalterato l’amore per le tradizioni perché si portano dietro i nostri ricordi d’infanzia.
Proprio per approfondire queste tradizioni che sono parte importante del nostro patrimonio culturale e avendo parlato nel precedente numero de La Pagina delle origini del Natale, vi racconto il Capodanno e la Befana.

Capodanno
Il 1^ Gennaio come inizio dell’anno fu stabilito nel 46 aC da Giulio Cesare (Calendario Giuliano), ma la data trovò una sua consolidazione nel 1582 con il Calendario Gregoriano.
Il Capodanno festeggia l’entrata del nuovo anno. È preceduto dalla notte di San Silvestro, il 31 Dicembre, durante la quale si organizzano festeggiamenti per salutare, allo scadere della mezzanotte, l’anno vecchio e dare il benvenuto al nuovo. Tutto all’insegna dell’allegria, di brindisi, di scambio di doni, di buoni propositi, di speranze.
Anche questa festività, come tante altre, trova le sue origini in riti e tempi antichi. Risale infatti alle feste pagane dedicate al dio Giano, quando i Romani erano soliti scambiarsi doni beneauguranti e mangiare insieme.

Un po’ per scaramanzia un po’ per gioco: tradizioni legate al Capodanno
Il colore rosso: è consuetudine usarlo negli addobbi e anche come vestiario. Si ritiene un colore beneaugurante perché, portando allegria, allontana la negatività.
Le candele: portano anch’esse fortuna. La consuetudine di lasciarne una accesa dietro ai vetri, serve a indicare la strada a Babbo Natale perché porti i doni.
Roba vecchia: per l’ultimo dell’anno si usava gettare dalla finestra la roba vecchia (piatti e bicchieri) per buttare via tutte le magagne. Ora, per fortuna, non più. Ma chi vuole rispettare la tradizione, deve togliere il vecchio calendario e bruciarlo. Volendo si può recitare la seguente filastrocca: Anno vecchio brucia qua e la sfortuna se ne va.
Mangiare lenticchie e uva porta ricchezza: le lenticchie perché assomigliano a delle monete, l’uva (12 chicchi quanti sono i mesi dell’anno) perché è un grappolo e dunque dà l’immagine dell’abbondanza.
Botti e fuochi: un modo di festeggiare l’anno nuovo in modo rumoroso e allegro. Nel loro significato originario avevano lo scopo di scacciare gli spiriti maligni. Oggi si cerca di proibirli sia per motivi di sicurezza, sia per non spaventare gli animali.
Un bacio sotto il vischio: è il tradizionale rito propiziatorio per un anno d’amore e di felicità.

Epifania – Befana
Viene viene la Befana
vien dai monti a notte fonda.
Come è stanca! La circonda
neve, gelo e tramontana.
Viene viene la Befana.

La Befana: il termine è una trasformazione lessicale di Epifania (attraverso bifanìa e befanìa) che viene dal greco ἐπιφάνεια (epifaneia), cioè apparire, manifestarsi.
Tutti sappiamo che è quella vecchietta col naso adunco, il mento a punta, i capelli grigi, vestita di una grossa gonna scura e rattoppata, uno scialle dimesso, un cappellaccio e un paio di ciabatte che, a cavallo della sua scopa, vola nel cielo e porta i doni ai bambini nella notte tra il 5 e il 6 gennaio passando dal camino e riempiendo le calze appese ad esso con dolcetti o carbone a seconda che siano stati buoni o cattivi.

Quali sono le origini di questa figura?
Sono una commistione di tradizioni cristiane e pagane.
Nella tradizione cristiana l’Epifania ricorda i tre Re Magi che, guidati dalla stella cometa, portano i doni (oro, incenso e mirra) a Gesù Bambino.
Le origini antiche di questa figura un po’ strega e un po’ maga, sono invece da ricondursi a quelle delle tradizioni pagane e popolari, quando si pensava che dopo il solstizio d’inverno alcune donne volassero sui campi per fecondarli (da qui l’immagine della Befana che vola a cavallo di una scopa).
Si tratta dunque di riti propiziatori medievali legati alla natura e risalenti a riti ancora più antichi legati alla dea Diana e ad altre divinità che sovrintendevano alla buona riuscita dei raccolti. La Befana è anche la rappresentazione dell’anno vecchio ormai finito e che può anche essere bruciato, tanto è vero che in molti paesi permane l’usanza di dar fuoco a un fantoccio che la rappresenta.
Con la Befana si festeggia anche l’inizio del periodo pasquale: infatti in molte parti è consuetudine, in questo giorno, augurare “Buona Pasqua”. A riprova di ciò ricordiamo i tradizionali canti delle “pasquarelle” che vengono intonati in occasione di questa ricorrenza.

Le pasquarelle o vecchierelle
I canti detti pasquarelle sono canti popolari augurali di antichissima origine accompagnati da tamburelli, caccavelle, triangoli, oggi ripresi in molte zone dell’Umbria tra cui la Valnerina e l’Orvietano.
Secondo l’usanza i cantori vestiti da pastori girano per le case del paese e per le campagne intonando canti augurali legati alle festività e chiedendo in cambio offerte di uova, salsicce, dolci.
A questo proposito vogliamo qui ricordare soprattutto I cantori della Valnerina, un gruppo che fa dei canti popolari della tradizione umbra il proprio punto di forza: accompagnati dal suono degli strumenti caratteristici, si esibiscono nei canti tipici del Natale e nelle Pasquarelle.

Loretta Santini

Una pasquarella tradizionale
NU SIMU VINUTI

Nu simo vinuti
co’ tutta creanza,
sicunnu l’usanza,
la Pasqua a cantà.

Là ‘drento a ‘na stalla
nascié lu Bambinu,
je manca lo inu,
je manca lo pà.

Se more de friddu,
‘n cià manco ‘n littucciu,
nascié purittucciu,
nascié pé penà.

Ma tello vicino
ce sta San Giuseppe,
reccoje le zeppe
pé faru scallà.
La Madre je canta,
j’ammocca, j’ammanna,
je fa ninna-nanna,
je dà ru coccò.

Ri pòri pastori,
chi ‘n può de ricotta,
che abbacchiu e caciotta
je viengu a portà.

E mo li Re Maggi
co’ tutti li fiocchi,
co’ doni e brellocchi
ru viengu a adorà.

Nu pure que cosa
che rempe la panza,
sicunne l’usanza,
vulimo assajà.

Se può ve dispiace
d’aprì la creenza,
d’aprì la dispenza
putimo abbozzà.
Però ‘n mocalittu
de bona vinella,
co’ ‘n può de ciammella
portatece qua.

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