IL CANTONIERE

C’era una volta il cantoniere, operaio addetto alla manutenzione e al controllo di un tratto di strada.

La civilizzazione, la storia e la cultura dei vari popoli è stata permessa anche dalla costruzione delle strade, che tuttavia necessitano di una costante manutenzione. Per questo motivo nel XIX secolo in Italia, vi fu la suddivisione delle strade in cantoni, tratti lunghi 3/4 km. Il cantoniere, per motivi lavorativi, aveva l’obbligo di risiedere sul luogo del servizio, in case situate ai margini di ciascun cantone, da qui il termine Case Cantoniere.

Erano tante ed erano pure belle. Diciamo che si facevano notare, non fosse altro per quel color rosso pompeiano che le contraddistingueva, la scritta “casa cantoniera” accompagnata dal numero della strada statale e del chilometro corrispondente, sulla quale quegli edifici si affacciavano. Le Case Cantoniere, appunto, preziosissimo presidio del territorio che negli anni ha completamente cambiato il suo volto. Una delle tante vittime dei “tagli” alla spesa pubblica che con gli anni ha finito per trovarsi, in buona parte, in uno
stato di abbandono e inutilizzo. Quel ricco patrimonio immobiliare oggi è quello che è, con poche varianti.

Queste case sono ancora visibili lungo le principali vie di comunicazione ma nelle strade meno importanti non c’erano e il cantoniere doveva comunque abitare in una casa situata sul cantone di competenza.

L’attrezzatura del cantoniere consisteva in una carriola, zappa, pala, uno scopone fatto di erica (vedi Scopone su La Pagina del dicembre 2021), un palo metallico a punta da infiggere nel terreno, sovrastato da un ovale contenente il numero del cantone, e un berretto con visiera. In quel tempo si era sparsa la voce fra i contadini che tutti gli alberi da frutto che si trovavano entro i metri di competenza della strada comunale o provinciale erano di proprietà della strada e quindi la raccolta dei loro frutti spettava
al cantoniere. Si trattava spesso di grandi alberi di noce, di bagolaro o di olivo piantati dagli antenati dei proprietari dei campi prospicienti la strada.

Negli anni ‘50-’60 del secolo scorso, molte strade erano bianche, cioè non asfaltate, e bastava una giornata di pioggia consistente per modificare il piano stradale, riempendolo di buche e ammucchiandone la sabbia più fine ai lati della strada stessa. Allora il cantoniere
arrivava sul posto, piazzava il palo metallico nel terreno- era quasi come timbrare l’inizio dei lavori se fosse passato un ispettore – e incominciava a riparare i danni del maltempo.

Se invece scoppiava un temporale l’operaio indossava una incerata – l’impermeabile dell’epoca era fatto di tela cerata – e correva nel punto a lui noto dove era necessario deviare una eventuale irruzione dall’alto dell’acqua piovana in modo che facesse meno danni possibili al cantone di sua competenza. Sembra che le attuali alluvioni abbiano fatto così tanti danni anche perché sulle strade delle nostre colline non ci sono più i cantonieri che, oltre a fare manutenzioni, sapevano anche dove intervenire.

Fra i cantonieri c’era anche qualche marpione che approfittava del suo stipendio per andare a caccia o per fare lavori agricoli nel proprio terreno confinante con la strada. Bastava
piantare il palo segnaletico sul tratto apposito dove c’era magari una quercia con l’edera matura, molto appetita da tordi, merli e cecafelle (tordo sassello), o un oliveto con olive anch’esse mature, e mettersi a cacciare. Per fare questo in sicurezza bisognava essere vigili e attenti a qualsiasi motore in avvicinamento. Sapendo che il capo cantoniere viaggiava su una moto Guzzi Galletto, appena ne riconosceva il rombo lungo i tornanti della strada, nascondeva il fucile nel bosco, si slacciava la cintura calandosi i pantaloni e risaliva sulla strada ritirandoseli su proprio nello stesso momento dell’arrivo del capo dimostrando di essere andato a soddisfare un impellente bisogno corporale.

Vittorio Grechi

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