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Emozioni di una gita in Valnerina

Questa deliziosa vallata che è bagnata dalle acque del Nera

John Smith, 1780

La Valnerina è sempre un’emozione.

Emozione per quel verde intenso e variegato, vigoroso e riposante che si espande ovunque e ti ammanta in ogni momento.
È il verde più verde dell’Umbria, cuore d’Italia.
E poi l’azzurro altrettanto intenso e luccicante delle acque: il fiume Nera ci accompagna per tutto il tragitto scorrendo in uno stretto fondovalle, spesso incassato tra alte pareti rocciose, perpendicolari e spettacolari.

Indoviniamo dal finestrino dell’autobus le acque del Corno, limpide e tormentate, incassate tra le rocce, rumoreggianti nella stretta di Biselli e narranti un pezzo di storia antica nella Balza Tagliata, quella strada ricavata a furor di piccone già in epoca romana da uomini che cercavano un varco tra la valle e Norcia.

Osserviamo il tracciato dell’ardita ex ferrovia Spoleto-Norcia, un’opera d’arte dell’ingegneria realizzata nel 1928 e dismessa nel 1968: 51 km di viadotti, gallerie, rampe elicoidali, caselli. Un percorso di grande suggestione oggi riconvertito in una pista ciclo-pedonale tra le più attrattive d’Italia.

Vediamo a mezza costa la sequenza dei borghi di una bellezza immutata ancora racchiusi entro le mura con le loro torri svettanti, i loro campanili, i vecchi palazzotti o i resti di rocche dove ancora è possibile leggere le atmosfere di antiche municipalità.

Saliamo fino a Cascia e Roccaporena, luoghi di pellegrinaggio religioso, i luoghi di Santa Rita, la Santa degli impossibili. Tralasciamo le tante e bellissime chiese antiche per giungere fino al Santuario. La facciata con i suoi marmi bianchi si erge in fondo a un porticato racchiusa tra due alti campanili: all’interno è solo luce e colore.

A Roccaporena diamo uno sguardo lassù in alto su un picco raggiungibile dopo una lunga e faticosa scalinata allo scoglio dove, inginocchiata a lungo fino a consumare la pietra, pregava Santa Rita. Il cuore ha un tumulto quando si entra nella sua casa natale: uno squarcio di passato che prende l’animo di chi ha fede perché sente lì la presenza della Santa, ma anche di chi non crede perché subisce il fascino del mondo di una volta con i suoi racconti, le usanze antiche e gli oggetti della vita quotidiana.

L’emozione è intensa, addirittura straziante, a Norcia: la grande ferita della chiesa di San Benedetto con la sua facciata, unica struttura rimasta, puntellata da un incrocio di tubi d’acciaio e le macerie delle mura antiche, colpiscono al cuore come lame acuminate, ma non tolgono, nonostante tutto, la speranza della rinascita.
La rinascita ci può essere. Ci dovrà essere.

Lo abbiamo toccato con mano a Sant’Anatolia di Narco, un paese come tanti altri della Valnerina, distrutto dal terremoto del 1979.
La ricostruzione ha restituito agli abitanti un paese dignitoso, bello, gradevole. Soprattutto la comunità ha saputo recuperare e valorizzare la propria storia e la propria identità culturale realizzando un vero e proprio gioiello: il Museo della Canapa.

Il museo fa parte dell’Ecomuseo della Dorsale appenninica nato con “lo scopo di conservare e tramandare le tradizioni e i mestieri che appartenevano alla sua comunità” legandosi così alle tradizionali attività del territorio, spiegandone l’utilizzo antico e moderno. Come recita il sito internet “il museo è un luogo di incontro, scambio di pratiche e trasmissione di competenze, in cui il progetto tessile, fulcro dell’esperienza didattica, costruisce opportunità di dialogo tra istituzioni, nuove generazioni di professionisti museali, detentori della tradizione e apprendisti tessitori”.

Un museo che si organizza dovrebbe sempre legarsi al territorio, all’identità del luogo: dovrebbe divenirne il simbolo, la coscienza, la storia.
È un messaggio questo che dovrebbe essere tenuto presente in ogni città e, quindi, auspichiamo che sia preso a modello anche per Terni, che dovrebbe valorizzare le sue peculiarità. Solo qualche esempio per ricordare quali sono le nostre eccellenze: San Valentino, le cartoline di Alterocca, l’archeologia industriale. Vogliamo farlo?

Riporto, sull’onda di queste emozioni, due citazioni dagli scritti dei viaggiatori del Grand Tour che, come pochi, riescono a fornire l’immagine e l’emozione di questi luoghi.

“… Selvagge vedute di rocce poggiate l’una sull’altra, delle profonde gole dai fianchi corrosi da tumultuosi torrenti o dei larghi letti dei fiumi sabbiosi serpeggianti nel fondo di esse vedemmo … tutte le stagioni nella loro bellezza e perfezione … talvolta la nostra strada ci portava attraverso i boschi di olivi, e giardini di aranci, in alcuni anfratti tra le rocce che sembravano serre naturali, sempre ombreggiati da molte varietà di alberi e arbusti sempreverdi”.

Joseph Addison

“… c’è un vigore di libertà in questa scena di montagne, una meravigliosa qualità di solenne, remota solitudine. Si ha la sensazione che quest’acqua sgorghi dalle più eterne nevi o da qualche ghiacciaio; si percepiscono lontano nel cuore di questo misterioso, boscoso paese le alte vallate, gli altopiani, le altitudini delle montagne più alte d’Italia, la solidità e compattezza della grande catena dei monti Sibillini che è il centro, il cuore nascosto dell’antica penisola”.

Vernon Lee

Loretta Santini

Redazione:
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