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Economia e Relazioni…

Negli ultimi decenni ha preso piede una visione economica alternativa a quella generalmente diffusa, principalmente incentrata sullo scambio in termini monetari. Questo filone di pensiero alternativo viene chiamato economia relazionale e studia le materie economiche dal punto di vista dello scambio di valore umano, studiando ed operando sia sul lato del creatore del valore che del ricevente.

Più in particolare si occupa di valorizzare le cosiddette comunità residenziali, le quali oggi sono escluse dall’economia “classica”, poiché la loro attività di “produzione” non rientra nei calcoli che formano il PIL. L’elenco non è esaustivo, ma rientrano tra le tipologie di aziende relazionali più rilevanti: le famiglie, i condomini, le associazioni non riconosciute, i gruppi auto-mutuo aiuto, le banche del tempo, le associazioni non-profit, i gruppi di acquisto solidale, le associazioni sportive dilettanti, coinvolgendo di fatto l’attività quotidiana di decine di milioni di persone, solo in Italia.

Non è difficile capirne il perché, la relazione è, dopotutto, alla base di qualunque scambio economico/sociale ed è in linea con la prospettiva di un’economia relazionale considerare il lavoro stesso come relazione sociale, anziché come prestazione. Relazione dinamica, e sempre in evoluzione.

Come dar torto, quindi, a uno Jacob Viner, noto economista canadese, quando sosteneva che “l’economia è ciò che fanno gli economisti”, evidenziando, neppure troppo implicitamente, la possibile coesistenza di una pluralità ed eterogeneità di teorie, scuole di pensiero e approcci, anche tra loro opposti.

Come spesso accade, pur essendo stata in qualche modo meglio codificata di recente, l’economia relazionale si basa su un filone di pensiero con radici antiche, basti pensare a John Stuart Mill, filosofo ed economista britannico, uno dei massimi esponenti del liberalismo e dell’utilitarismo, per il quale la capacità di cooperare e la vocazione alla reciprocità sono caratteristiche antropologiche fondamentali che rendono possibile sia la vita della famiglia che quella della società. Andando ancora più indietro nel tempo, i medesimi concetti si ritrovano nella tradizione italiana dell’economia civile, che affonda le sue radici nelle abbazie e nelle città del Medioevo.

Ben prima, Aristotele, nell’Etica Nicomachea, sosteneva “Nessuno sceglierebbe di vivere senza amici, anche se fosse provvisto in abbondanza di tutti gli altri beni”.

La felicità è infatti il fine ultimo dell’azione umana e l’economia relazionale rappresenta, in qualche modo, il compendio degli sforzi di dar vita ad un’economia più umana e responsabile e, quindi, nelle ambizioni, anche più efficace e più efficiente della predominante “joyless economy”, ovvero di un’economia definita come “priva di gioia”.

E se la relazione è al centro di tutto, è un po’ come dire che per essere felici bisogna essere almeno in due, dopotutto cosa ne sarebbe stato del naufrago Robison Crusoe senza Venerdì?

Alessia Melasecche

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