D’estate si andava a vendere la frutta

contadine

Nei mesi estivi, se la frutta abbondava, il contadino si alzava all’alba per raccogliere quella matura, prima che uccelli e insetti iniziassero il banchetto. Con le prugne riempiva a metà due bigonce mettendole a strati sovrapposti, intervallati da ramoscelli con foglie per impedirne lo schiacciamento, poi le caricava sull’asina, mettendoci sopra un paio di grandi canestre di vimini piene di fichi, ricoperte con grandi foglie di scarsellone (farfaraccio) per preservarle dalle voraci vespe.

Fatto ciò, la donna più anziana della famiglia, in genere la nonna, prendeva con sé un nipote per compagnia, lo metteva a cavalcioni sul basto, vi appendeva anche la bilancia e via a piedi per raggiungere il paese o la città vicina. E allora erano grida a squarciagola per richiamare le massaie alle compere: Ficheee…femmeneeee – e giù risate e sberleffi da parte dei vecchi seduti lungo la strada a godere del fresco mattutino.
Attirata l’attenzione, il repertorio cambiava: Ficore e brugnuli, femmene…frischi, frischi, appena cordi (Fichi e prugne, donne… freschi, freschi, appena colti).
In risposta alle grida c’era chi si affacciava alla finestra e chiedeva il prezzo (e chi, uditolo rispondeva: Magnatele) e chi scendeva dai tortuosi vicoli lacustri dell’abitato di Piediluco, con una mano in tasca a proteggere il borsellino degli spiccioli e l’altra infilata nei manici della capace sporta. C’era chi portava un canestro e chi il vassoio di legno detto capistìu, per sistemare al meglio la frutta da acquistare.

Si contrattava sul prezzo ritenuto sempre troppo alto, ma alla fine non si poteva resistere dal comprare, dopo aver debitamente assaggiato le fresche prugne e i dolcissimi fichi.
A vendita terminata, la nonna si accostava al cocomeraio chiedendo una bella fetta di cocomero da una lira (!) per il nipote. Co’ ‘na lira te pozzo dà solo quarche seme, nonnetta mia, rispondeva ridendo il venditore. Guastave a vui e le lire! ‘Na vòrda ‘na fetta costava du’ sòrdi! (Accidenti a voi e alle lire! Una volta una fetta costava due soldi!).

Dopo aver convenuto il nuovo prezzo in lire -Costa più ‘na fetta de cocommeru che ’n chilu de brugnuli!- il nipote finalmente poteva assaporare la succosa fetta rossa come premio, poiché si era dato da fare a riscuotere e a dare il resto, visto che l’antenata aveva più dimestichezza con i centesimi anteguerra che con le lire.
Anche oggi c’è chi vorrebbe abbandonare l’euro e tornare indietro alla lira, non per difficoltà a dare il resto ma solo per miopia politica.

Vittorio Grechi

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