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BRANDELLI DI MURO

BRANDELLI DI MURO

Di queste case
Non è rimasto
Che qualche
Brandello di muro
Di tanti
Che mi corrispondevano
Non è rimasto
Neppure tanto
Ma nel cuore
Nessuna croce manca
È il mio cuore
Il paese più straziato

Questa poesia mi è venuta prepotentemente in mente dopo l’ennesima scossa di terremoto e dopo aver visto l’impressionante sequenza di immagini disastrose relative al sisma. La poesia è di Ungaretti: si intitola San Martino del Carso e ovviamente si riferisce alle distruzioni della guerra del 1915-18, ma il quadro di queste zone disastrate non è dissimile. Il mostro ha colpito tutto e tutti: persone, cose, natura, beni culturali.

Il mio pensiero va prima di tutto alle persone, alla loro paura che sembra non avere tregua, alla loro disperazione per aver perso la propria casa e i propri beni, alla speranza per il futuro che al momento sembra svanita, all’impotenza di fronte alla forza devastante e imprevedibile della natura, all’impossibilità di difendersi e di ritrovare la quotidianità di una giornata fatta di lavoro, di divertimento, di riposo, di parole e di gesti usuali.

Penso a una comunità stravolta che si ritrova a vivere in un provvisorio villaggio di tende o di container, separata e dislocata in alberghi lontani e case di accoglienza.
Penso ai paesi, piccoli gioielli testimoni di secoli di storia, che sono straziati, abbattuti, franati, sbriciolati, feriti nel profondo da crepe, lesioni profonde e crolli: le chiese e le mura, le antiche torri di guardia e i campanili delle chiese, i palazzi civici e i ponti, le strade e le abitazioni. Anche le montagne si sono fessurate. Ovunque cumuli di sassi e nuvole di polvere. Ovunque fantasmi e macerie.

Brandelli di muro: questo quanto rimane di un territorio, ma anche della sua storia, della sua identità, delle sue tradizioni.

Conosco abbastanza bene i paesi della zona interessati dal terremoto, soprattutto quelli della Valnerina e della Valcastoriana in particolare per aver scritto libri sulle sue bellezze artistiche, naturalistiche, sulla storia e sulle tradizioni. Un viaggio in questa terra che ho fatto insieme a Marco Barcarotti che ha immortalato nelle sue fotografie tanti monumenti e tanta bellezza. Ricordo solo quelli che sono assunti a simboli del terremoto, ma vorrei ricordarli tutti.

Mi rimane nel cuore la bellissima chiesa di San Salvatore a Campi Vecchio con il suo piccolo porticato, con i suoi due eleganti rosoni e un interno mozzafiato per quegli affreschi dell’iconostasi che la ricoprivano in gran parte e che rappresentano una rilevante documentazione della pittura quattrocentesca del territorio.

Brandelli muro anche per l’abbazia di Sant’Eutizio di Preci -ma tutto il paese è una maceria- splendido esempio di arte romanica e culla del monachesimo occidentale sorta presso le grotte ove vissero in preghiera dei monaci siriani.

È il luogo da cui prese avvio quella Scuola chirurgica attiva tra il XIII e il XVIII sec. che fu conosciuta e apprezzata in tutta Europa. Luogo di cultura: qui da secoli è presente una importante biblioteca e un raro scriptorium, per la realizzazione di testi grafici e miniature.

Brandelli di muro anche a Norcia: la basilica di San Benedetto, sorta dove la tradizione vuole ci sia stata la casa natale del Santo patrono dell’Europa e di sua sorella gemella santa Scolastica, aveva retto ai primi terremoti: ora anch’essa è crollata -resta solo la bella facciata- e insieme ad essa è crollato il portico delle misure che si allungava lungo il fianco.

Quel portico era stato realizzato dal Comune con la funzione di mercato per i cereali realizzando dei contenitori in pietra che dovevano servire come metro di misura per la quantità dei vari prodotti.

Un territorio straziato dunque, dove al momento sembra quasi impossibile che possa ricominciare la vita, l’economia, la vita di ogni giorno. Ma deve ricominciare: nella volontà degli abitanti, dopo un primo comprensibile scoramento che li ha portati ad affermare che ormai tutto è distrutto e che tutto doveva essere abbandonato, c’è invece la determinazione, il desiderio che tutto ricominci lì dove sono essi nati, dove hanno vissuto: le radici, il senso di appartenenza a un territorio, l’orgoglio della propria terra, sono più forti e più importanti della paura e della disperazione.

Ho visto tanti paesi della Valnerina rivivere dopo un’accurata ricostruzione -in verità egregia- dopo le distruzioni di terremoti passati. Anche questi torneranno a vivere, lo spero.

Loretta SANTINI 

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